PECORE, CROCCOLE, MARRONI,

VESTIARIO, MUSICA E DISEGNO

di Nanni Banchi

FALEGNAME ALLA SCUOLA DI BARBIANA

 

Abbiamo chiesto a Giovanni Banchi, presidente del Centro Ricerca e Formazione Don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana, di dare una sua testimonianza per descrivere il contesto, ossia il mondo contadino che circondava Barbiana all'arrivo del Priore. Ecco come risponde:

 

PECORE

All'età di nove anni vivevo con il mio babbo (il babbo di Nanni insegnava falegnameria alla Scuola di Barbiana) e la mia mamma, ma una buona metà del mio tempo lo passavo con il nonno, cui i miei genitori mi affidavano.

Si spartivano la mia presenza perché c'era, nella mia famiglia, tanta di quella miseria, sia economica che culturale, che la si poteva tagliare a fette. Quasi come la polenta.

L'intellettuale di famiglia era il babbo che aveva compiuto gli studi della seconda elementare, nel 1909. Leggeva spesso il Vangelo, la Divina Commedia e i Promessi Sposi e un bel po' di libri anarchici sui quali riusciva a metter le mani. Votava comunista, ma era un buon cristiano.
Di quel che lui apprendeva da questo suo leggere, noi non ne cavammo un gran che. Né io, né mia sorella.
Il babbo era antifascista spietato e, dai fascisti, fu picchiato tante volte. Fu mandato a scavare i canali di bonifica nella zona di Grosseto, per punizione. Ma non si piegò mai a Mussolini.

Tornando a parlare di me, dopo che, uscito da scuola, andavo dal nonno, dovevo guadagnarmi la giornata andando a badare alle pecore. Erano proprietà di un contadino, nostro vicino. Costui mi pagava con mezza ricotta alla settimana. Potevo avere il siero che ogni giorno avanzava, dopo aver provveduto a fare iol formaggio e la ricotta.

CROCCOLE

Durante il periodo estivo, di luglio, d'agosto e di settembre, maturavano le croccole, i frutti del ginepro. Allora, per guadagnare qualcosa, si andava a batterle nei gineprai. Questo vi assicuro è un lavoro bestiale.

S'era costretti ad avvicinarci fisicamente al ginepro armati d'un bastone e d'uno staccio. Con cautela afferravo, con una mano, le ciocche dell'arbusto. Poi le tiravo con tutta la mia forza fin sopra lo staccio, prendendole, contemporaneamente a bacchiolate per farne staccare i frutti. Questa operazione andava fatta nelle ore più calde della giornata. Erano le più propizie a far cascare i frutti. Gli spilli, così chiamavamo le spine del ginepro, si piantavano nei vestiti e nella pelle. E, a causa del sudore, ci restavano incollati addosso.

Per andare a cercare le croccole mi toccava levarmi alle quattro del mattino. Spesso mi levavo prima, anche alle due di notte, per poter raggiungere per primo i gineprai migliori. Camminavo anche quattro ore per andare e altrettanto per tornare. Appena arrivato a casa, le ammucchiavo in camera. Ci sono stati periodi che, col nonno, ne accatastavo così tante da farne uno strato da 25 cm. sul livello del piancito.
Per andare a dormire bisognava appoggiare un asse di legno sopra lo strato di croccole. Raggiungere il letto di ferro era un gioco di equilibrio. Era un letto da una piazza e mezzo che ci costringeva a dormire uno al capo opposto dell'altro. E non era raro svegliarsi con in mano i piedi dell'altro.
Capitava anche di ruzzolare giù dal letto durante la notte e nel mezzo del sonno. A parte il dolore delle schegge e degli spini, capitava di disturbare qualche puzzola golosa e ladrona. Animali simpatici, certo, ma estremamente puzzolenti e permalosi. A quel tempo avevo dieci anni o poco più.

Nel periodo delle croccole si mangiavano le pere piane, pomodori con cipolle e pane. In quel periodo il pane lo si faceva dopo aver raccolto le spighe lasciate sul campo dopo la segagione. Si mettevano le spighe nei ballini, e poi col correggiato, le si battevano e si portavano i chicchi al mulino. Il mio nonno non aveva neanche una ciuca e quindi, da in vetta al monte, si doveva scendere con il sacco sulle spalle. Due ore di camminata.

MARRONI

Ma il cibo principale erano i marroni. Quelli non mancavano mai né d'estate né d'inverno. D'ottobre, con la raccolta, si mangiavano tre volte il giorno. Prima si facevano le ballotte o le bruciate. Si mangiavano subito belle calde. Poi si mettevano in tasca e le si mangiavano tutto il giorno.
I marroni bacati si mettevano a essicare in uno stanzino di pietra, sopra a dei graticci a maglia fitta, per non farli cadere a terra. Poi si accendeva il fuoco per fare una bracia che potesse seccare bene i marroni. Una volta seccati, andavano sbucciati. Ti facevano le mani nere come quelle di un carbonaio. Si riducevano poi in farina dolce.

VESTIARIO

Due paia di calzoni dovevano bastare per un anno. Quand'eran rotti, ci s'arrangiava con le toppe. Per i calzini, i maglioni e le camiciole si provvedeva a farceli da soli. Verso la fine di maggio, tosate le pecore, si prendeva la lana che si poteva e la si filava, mettendolaq a ciuffi in cima alla rocca che era poi un butto di castagno selvatico. Era alto un metro e mezzo circa. Sulla cima era spaccato in quattro, così da poterlo aprire e da poterci avvolgere intorno i ciuffi, che venivano via via filati e avvolti in gomitoli. S'aveva da sferruzzare per farne camiciole, calzini, maglioni e sciarponi! Tanto erano ispidi e grezzi che parevano di carta vetrata, a contatto della pelle. Bucavan da far male, ma erano una buona difesa contro il freddo e l'acqua dell'inverno.
Le prime scarpe le vidi a 19 anni. Prima d'qallora portavo solo zoccoli fatti da noi. S'usava il legno d'ontano e le tomaie ce le dava il calzolaio, barattandole con i marroni o con i funghi che cercavamo nei boschi. Riuscivamo anche a farci dei sandali per la stagione estiva. Si cavavano dai fascioni dei pneumatici di automobili o di camion. Era un beol lusso.

Poi, nel '51 ...

MUSICA E DISEGNO

Avevo 14 anni quando un amico di mio padre ci disse che la ditta Corti (famosa falegnameria e stipetteria) cercava un ragazzo. Il babbo mi consegnò a questo amico che, fra l'altro, lavorava già lì. Mi levai presto al mattino per prendere il primo treno della mia vita: partiva alle 5 e 15. Era l'unico treno che ci permetteva di entrare al lavoro alle 8 del mattino. L'amico del babbo mi presentò al signor Corti ed io, ricordo bene, mi cacavo addosso dalla paura. Mi chiese se avevo avuto problemi con i carabinieri. Gli risposi di no. Passò a informarsi sulla mia famiglia. Risposi a tutte le domande. Di sicuro gli feci una buona impressione. Anche perché mia madre mi aveva impomatato i capelli con la brillantina!

Mi chiese anche se conoscevo la musica. E io gli dissi di no. Fu così che mi disse che prima di entrare a lavorare dovevo impararla. Mi mandò allora a Firenze, a sue spese, in via San Niccolò, a prendere lezioni da un professore di clarinetto che lavorava alla RAI.
Quando mi ripresentai dal Corti, feci un figurone: sapevo leggere la musica. E non solo. La sapevo leggere velocemente, secondo il metodo Bimboni. Davo il valore giusto ad ogni notan e riuscivo a leggerla anche da rovesciato.
Mi restava difficile capire che c'entrasse la musica col mestiere del falegname. Ero perplesso. Lo capii più tardi e poi ve lo dirò.

Ma al signor Corti questo non bastava. Volle che andassi a imparare il disegno. Anzi tre tipi di disegno: il primo per affini, il secondo per la meccanica e il terzo per l'edilizia.
Fu così che mi ritrovai di nuovo a Firenze. Stavolta in via della Scala, da un altro professore che, dopo avermi insegnato quanto stabilito, mi licenziò con un fior fiore d'attestato. Ottimo mi scrisse.
Pensare che a scuola rimediavo solo un 5 a matematica. Alle corte, di queste due esperienze, mi innamorai. Fu così che fui assunto in mezzo a tutti quegli artisti per la bella paga di 1.500 lire alla settimana.

Dentro lì, capii l'importanza della musica: la musica è matematica. Ti allena, ti prepara il cervello e ti modella il pensiero. Impari a far di conto e a misurare. Con facilità e velocemente. Per solfeggiare, per leggere la musica, per suonarla, devi essere rapido e logico. Deve venirti spontanea e perfetta. Non puoi sbagliare una tonalità. Rovineresti la canzone o l'opera. La musica è anche inventiva e melodia. Eppoi arte, creatività, anima e tant'altre cose ancora. Ti rende più umano.
Quanto al disegno proifessionale che è anch'esso figliolo dell'arte, ti spinge alla precisione e alla fantasia. T'insegna a costruire, a migliorare e, anche, a inventare. Un'arma vincente nel mondo.

Quando morì il signor Corti, mi vennero fatte tante offerte di lavoro a Firenze. Accettai di lavorare poer la ditta Paolucci, in san Frediano, una azienda grande e seria. Là imparai a costruire mobili alla veneziana. Passai poi a un'altra che costruiva porte e finestre. Divenni un vero artigiano, abile, esperto e rispettato. La mia competenza era tenuta in conto da architetti, ingegneri, dottori e professori, che spesso accettavano non solo il mio punto di vista, ma anche i miei consigli.

Don Milani mi ha insegnato a non dimenticare gli ultimi. Ad essere me stesso e ad avere fiducia nelle mie capacità. A rispettare la vera cultura, quella che ci rende liberi e fratelli. Quanto alla scuola posso dire che gli artigiani sono ottimi maestri, pratici e sensibili. Sarebbe ragionevole utilizzare le conoscenze di tanti artigiani, ormai in pensione, per trasmetterle ai giovani. Gli insegnanti avrebbero una ragione in più per trovare interesse nella vita, evitando di intorpidirsi il cervello nell'inattività e nell'ozio.