Intervista a Monsignor RAFFAELE BENSI
di Nazzareno Fabbretti -"Domenica del Corriere" 27 giugno 1971



"E' stato sotto un bombardamento che l'anima di don Milani mi si è spalancata la prima volta. Era il luglio 1943. Stavo togliendomi i paramenti dopo aver celebrato messa, vidi che un giovane mi aveva seguito in sacrestia. Feci cenni al nuovo venuto di accomodarsi in confessionale. I ragazzi che mi venivano a cercare in genere desideravano confessarsi .
Ma lui mi disse: "Mi chiamo Lorenzo Milani, ricorda? ci siamo conosciuti l'anno scorso, davanti alla prefettura. Non voglio confessarmi. Non sono nemmeno cristiano, anche se, come figlio di un'ebrea, ho ricevuto il battesimo per salvarmi il corpo. Ora è l'anima che mi vorrei salvare. Desidero parlare con lei".
Allora gli risposi che non avevo molto tempo. Dovevo correre subito a San Quirico Marinolle, fuori città, dove un giovane prete, mio alunno, era morto lo stesso giorno. " Se permette," mi disse il giovane "l'accompagno".
Andammo così, sotto il bombardamento, fino in campagna.
La sua anima mi si spalancò tutta. Capii di aver davanti un uomo molto diverso da tutti quelli conosciuti fino allora. Quel ragazzo, anche se stava ancora cercando la verità, era già pieno di Spirito Santo. Poi, quando fummo davanti al letto del giovane prete morto, don Dario Rossi, a San Quirico, egli mi disse, semplicemente: "Io prenderò il suo posto".


E' Monsignor Raffaele Bensi che racconta. Exvicario generale della diocesi di Firenze, questo prete che ha passato i settantacinque e ama definirsi "uggioso", ha avuto la ventura, per oltre vent'anni, di essere il confessore, il padre, l'amico del prete più scomdo del dopoguerra italiano, don Lorenzo Milani.
Il rapporto fra Bensi e Milani è stato sempre burbero, tenero, tempestoso, difficile e felice nello stesso tempo. Se monsignor Bensi potesse raccontare "tutto", si avrebbe il più sconvolgente ritratto di don Milani. Ma questo vecchio prete fiorentino, estroso, vivace, burlone, col gusto innato del paradosso e della battuta, di don Milani è stato soprattutto il confessore.
Il più, il meglio (e il peggio) di quella difficilissima creatura non lo potrà mai raccontare a nessuno, lo porterà con sé nella tomba.

"Certo, sarebbe il colmo che mi mettessi a raccontare certe cose. Neanche le lettere che ho saranno mai pubblicate. Capisco che potrei arricchire la conoscenza dell'anima e della personalità di don Milani, ma non posso pubblicarle, e non voglio. Sono alcune centinaia, quelle lettere: la storia interiore e ache esteriore, di don Lorenzo c'è tutta. A me ha potuto e voluto dire tante cose che non poteva dire neanche a sua madre ".

Non è stato comunque lui a battezzare don Milani.

"Il battesimo, quando lo conobbi, l'aveva già ricevuto. Lo aveva avuto per salvare il corpo, perché era ebreo. Ma per salvare l'anima venne da me. Da quel giorno d'agosto fino all'autunno, si ingozzò letteralmente di Vangelo e di Cristo. Quel ragazzo partì subito per l'assoluto, senza vie di mezzo. Voleva salvarsi e salvare, ad ogni costo. Trasparente e duro come un diamante, doveva subito ferirsi e ferire. E così fu. In seminario cozzò immediatamente contro metodi e mentalità che non avrebbe mai potuto accettare. Furono conflitti spesso paurosi, che lo laceravano fino allo spasimo. Allora correva da me. Si confessava in genere il lunedì, ma spesso mi cercava anche due o tre volte la settimana. Quando era costretto a ingoiare "rospi" che non riusciva a mandar giù, correva da me, mi chiedeva aiuto ".

"Dunque lei capì subito che quel prete era destinato all'infelicità?"

"Lo capii subito. E non è detto che tante volte anche lui non rendesse infelice me, e io lui. Il nostro rapporto è sempre stato burrascoso, una " lotta con l'angelo ": nessuno dei due ha mai vinto, nessuno dei due ha mai perso. Ricordo i momenti di gioia maggiore: furono sempre uniti a momenti di dolore, o almeno di ansia. Fui presente alla sua prima messa, lo assistetti io quel giorno; ricordo com'era trasfigurato. Ma io pensavo: e adesso dove me lo manderanno questo ragazzo? Se me lo mandano accanto a un parroco che non lo capisce, son dolori. Ero preoccupato, e dovette esser lui, come tante altre volte, a far coraggio a me. Lo mandarono a San Donato di Calenzano e, come temevo, i guai cominciarono subito. Si mise a scrivere le Esperienze pastorali. Quando il libro uscì, nonostante l'imprimatur della curia, l'approvazione del cardinale Dalla Costa e la prefazione di monsignor D'Avak, chi fu che il Sant'Uffizio mandò subito a chiamare? Chiamarono me. Mi fecero un mucchio di domande: il libro da chi viene? E' soltanto don Milani che lo ha scritto o è opera di un gruppo sovversivo? don Milani ha rapporti con La Pira? chi c'è dietro? e cose del genere. Io cercai di aggiustar tutto alla meglio ".

" Lo aiutò sempre quando fu nei guai? "

" Sempre. E poi lui da chi sarebbe corso, se non da me? Coi ragazzi, a San Donato e poi a Barbiana, mi chiamava " il su' babbo " e " il su' nonno", e anche quando pareva che fosse venuto senza scopo, bastava quel certo modo di guardarmi perché capissi che dovevo far qualcosa per aiutarlo. Ho sempre fatto tutto quello che ho potuto, anche se lui, benedetto testone, si cacciava subito in guai peggiori ".

" E' vero secondo lei, che don Milani era anche un orgoglioso, un superbo?"

" Mamma mia se lo era. Un orgoglioso di tre cotte. Ed era anche un gran bugiardo. Non che volesse dir le bugie; voleva solamente dimostrare certe cose che gli stavano a cuore. Per lui, certe volte, le bugie erano "parabole" con cui riusciva a farsi capire meglio, come quando i suoi compagni gli consigliavano di scegliersi un "padre spirituale", rispondeva, quasi rabbioso: "O che me ne fo io del padre spirituale? Nel diritto canonico 'un c'è scritto d'avere il padre spirituale. Pigliatevelo voi, il padre spirituale, se vi garba."
Invece ce l'aveva il padre spirituale, quel birbone. Ero io. E' chiaro che si trattava di un orgoglio "speciale". Io non lo perdonerei a nessun altro. Ma lui, voglio dire, non era orgoglioso per sé. Per sé, tutti lo sanno, scelse e accettò sempre i posti più scomodi e umili. Dice niente che sia vissuto e morto, per vocazione ma anche per obbedienza, fra quattro poveri ragazzi di campagna, quest'uomo che poteva essere un " Padre della Chiesa" del nostro tempo? Ma quando si trattava della verità, non aveva dubbi, non guardava in faccia a nessuno. Lo diceva anche, che lui era l'unico " Padre della Chiesa " oggi, e che soltanto lui aveva veramente qualcosa da dire. Non ha mai dubitato d'essere dalla parte della ragione. Quello che sono stato a sentire da lui, non sarei stato a sentirlo da nessun altro, massimamente da un prete, senza prenderlo a schiaffi. Però non creda che mi avesse rimbecillito. Molte volte l'ho preso per il colletto, gliene ho dette di tutti i colori. Mi ricordo come fosse oggi che un giorno, non so più bene perché, presi su e andai a Barbiana. Gli dissi che volevo cantargliene parecchie. E lui, duro: "Bene, ma le sto a sentire solo davanti ai ragazzi, come per tutti quelli che mi vengono a parlare." Io non avrei voluto, perché ero pieno d'indignazione. Ma lui fu più duro che mai. Allora accettai. Sullo spiazzo della chiesa, lui di là, io di qua, con intorno i suoi tremendi ragazzi che pareva mi volessero saltare addosso e scazzottarmi da un momento all'altro. E' stato un processo vero e proprio. Non misurai le parole, gli dissi di tutto. Lui mi ascoltava, freddo, un po' ironico, pareva mi pigliasse in giro. Solo dopo un po' i suoi occhi si fecero più umani, più dolci. Capiva che avevo ragione, ma lì, davanti ai ragazzi, non me l'avrebbe mai data, neanche se l'avessero scannato. Alla fine non riusciva più a tenere i ragazzi. Ero sicuro che mi avrebbero bastonato. Ma lui allora li guardò e li fermò con una sola parola: "Boni, bambini, boni: quello è il mi' babbo, e 'un si tocca ".


" Chi era davvero don Milani? "

" Era un illuminato, un profeta, un testimone unico nel suo genere. E' un gran bene che ci sia stato. Sarebbe un disastro se ce ne fossero altri, voglio dire proprio come lui, e senza essere quello che lui era. Non so se riesco a farmi capire. Era un cristiano, ma anche un ebreo: un piede, a suo modo, nel Vecchio Testamento l'ha sempre tenuto. Di qui il suo rigore, le sue collere, la sua spaventosa intransigenza ".

" Lo ha incoraggiato anche lei ad assumere nei confronti dei vescovi, della gerarchia, le posizioni che assunse?

"Non ho mai avuto bisogno di incoraggiarlo a qualcosa, se si trattava di qualcosa dove c'era bisogno di coraggio. Sia chiaro che lui della Chiesa, del vescovo, era innamorato, un innamorato "folle". Chiedeva tutto, esigeva il massimo, la perfezione; in questo, se si vuole, era anche un po' disumano. Ma io so che pagava per primo, che non si concedeva indulgenze, e quel che chiedeva alla Chiesa e al vescovo lo chiedeva per amore. La sua ostinazione, per esempio, nel chiedere al vescovo che restituisse a lui, prete colpito, calunniato, esiliato, l' "onore" che gli spettava, non era per se stesso, ma per il sacerdozio, per il sacerdote, soprattutto per i suoi ragazzi. Ma queste son cose che si capiranno bene soltanto col tempo Don Milani è più per domani che per oggi, di questo son sicuro.
Però poi era anche lui un gran "coccolone": s'inteneriva subito per un pensiero, per il tono dell'affetto nella voce, per la minima delle attenzioni nei suoi riguardi. Io lo so per esperienza: anche quando ti tirava una pedata, o quando ti sparava addosso la sequela delle sue parolacce irriferibili ( non ho mai sentito tante parolacce come da lui) era sempre per un impulso d'amore. Amore difficile, ma sempre amore. Lui non m'è mai riuscito di chiamarlo impunemente "passerottino mio", come, per tanti anni, ho chiamato i ragazzi del seminario. Se qualche volta mi scappava, succedeva il finimondo. Lo sapevo, e allora, invece di " passerottino ", lo chiamavo " lazzarone ": per lui andava benissimo"


"Che cosa l'ha colpito di più in lui?"

" La sua capacità di annullarsi fra i poveri, fra i ragazzi e fra la gente senza nome e senza importanza. A lui è sempre bastato amare, sino alla fine, pochi ragazzi: non ha mai preteso di amare l'umanità, o lo ha scritto chiaro tante volte. Ricordo un giorno che capitai a Barbiana senza preavviso, verso sera, quand'era già attaccato dal cancro. Lo trovai, come al solito, nella stanza che serviva da scuola. Era steso nel buio su un pagliericcio. Accanto aveva una donna, la vecchia scema del paese, e i ragazzi meno intelligenti. Erano lì tutti in silenzio, con gli occhi fissi su di me, come se stessero assaporando sino in fondo la loro sofferenza, la loro solitudine, la loro sconfitta umana. E lui era uno di loro, non diverso, non migliore: ed era già condannato a morte. Mi vennero i brividi. Capii allora, più che in qualunque altro momento, il prezzo della sua vocazione, l'abisso del suo amore per quelli che aveva scelto e che lo avevano accettato. L'uomo che sapeva tante lingue, in grado di parlare di teologia, di filosofia, d'arte, di letteratura, d'astrologia, di matematica, di politica come pochi altri, lì, nel buio di quella stanza, accanto a quei "mostri", fu per me, e rimane, l'immagine più eroica del cristiano e del sacerdote ".

" Lei lo ha seguito fino alla morte? "

" Sì, come ho potuto. Guardi qui; questa è una delle prime copie di Lettera a una professoressa. Ufficialmente il libro uscì che lui era già morto. Ma questa copia - la "copia staffetta" - porta la sua dedica a me: una dedica di equipe, perché il libro, come si sa, è un libro scritto insieme da lui e dai ragazzi. Ecco: I nipotini di Barbiana al nonno di Firenze. Poi, guardi questi fogli, con tante frasi tronche: le scrisse quando non poteva più parlarmi, col tumore alla gola. Sono tenere, ironiche, o piene di quell'umorismo nero con cui ha cercato, nei momenti in cui più soffriva, di difendere con ironia la sua tenerezza e la sua commozione, e forse anche la sua paura. Guardi questa frase: "Non le piace la mia morte? non va bene come l'ho programmata? ci trova qualche difetto di regia?" Io mi difendevo, a mia volta, dalla commozione, sgridandolo o prendendolo in giro anche in quei momenti. Siccome tanti medici suoi amici gli stavano continuamente intorno, gli dissi: "Ma si può sapere cosa vuoi? hai un medico per le orecchie, uno per la gola, uno per gli occhi, un altro per la pancia; sembra l'agonia di un sultano, la tua, non quella di un povero prete. Non ti vergogni? "

" Cosa pensa, monsignore: d'essere stato alle prese con un diavolo o con un santo? "

"Con un santo, non c'è dubbio. Anche se tante volte travestito da diavolo.
E anche se ci vorrebbe del coraggio, un giorno, a canonizzarlo ".




DON BENSI


Il 4 aprile del 1985, monsignor Bensi, muore a Firenze. Maestro spirituale per tante generazioni. Confessore, parroco di S. Michelino dal 1922. Per trenta anni (dal 1930 al 1960) insegna religione prima al liceo Dante e poi al Galileo. Molte figure autorevoli ruotano attorno a lui: il cardinale Dalla Costa, don Facibeni, don Milani, Giorgio La Pira e tanti altri. Così lo ricorda Enzo Enriques Agnoletti (Nazione 6 aprile 1985):


FARO DEL CATTOLICESIMO FIORENTINO

Oltre che dal dolore di chi gli è stato più vicino la scomparsa di don Bensi, anche se attesa e preparata da un lungo periodo di silenzio, dovrebbe essere accompagnata da un rinnovato interesse per alcuni aspetti del cattolicesimo fiorentino, che hanno tenuto un posto importante anche nella storia civile della nostra città, e hanno esercitato un' influenza che è andata assai oltre le mura cittadine, e che, ancora oggi, conosce personalità di notevole rilievo, sia sul piano religioso che su quello civile e politico.

Questa saldatura tra l'impegno religioso e politico è avvenuta soprattutto a causa dei tragici avvenimenti attraverso i quali è passato il paese: la guerra, il nazismo, la Resistenza. Fra le due guerre una figura che soprattutto ha rappresentato per molte coscienze cristiane un esempio e una guida è stato don Facibeni, il creatore della Madonnina del Grappa.
Don Bensi, per molti anni, dopo il Concordato, ha insegnato religione nelle scuole e i suoi allievi ne ricordano la straordinaria capacità di discutere con piena libertà anche temi "laici" con grande spregiudicatezza. In quei lunghi anni, come del resto era stato il caso di don Facibeni, quel movimento cattolico rinnovatore, non ancora chiaramente antifascista, costruiva, a volte quasi inconsapevolmente, un movimento, un modo di essere, di vivere nella società, che era alternativo al fascismo, e sempre di più al fascismo della alleanza con il nazismo con il razzismo e con la guerra.
A Firenze, e qui non si può non fare il nome di Giorgio La Pira, attraverso l'esaltazione e soprattutto la riscoperta di certi valori cristiani, abbastanza dimenticati durante il fascismo, questo movimento, anzi piuttosto questo insieme di differenti origini e persone, assume un carattere di netta opposizione, educa con l'esempio e il dialogo una vasta corrente di giovani che, senza puntare esplicitamente, come è avvenuto dopo, a un rinnovamento teologico della Chiesa, assumerà una netta opposizione antifascista, per alcuni più in chiave politica, per altri strettamente legata all'azione che faceva o avrebbe dovuto fare la Chiesa.
Don Bensi non si è mai esibito, come ora accade, in dibattiti politici o sociologici, la sua azione si è tenuta sempre un pò discreta ma presente.
Era una persona a cui molti, moltisssimi, ricorrevano per avere guida o consiglio, con quel suo modo chiaro e semplice di affrontare tutti i problemi.
Durante la Resistenza ha offerto un aiuto importante, sia logistico (sì logistico non era una cosa da poco) sia contribuendo a creare attorno ai Comitati di Liberazione, e alle forze antifasciste, quel consenso popolare, quella disponibilità ad accordarsi con chi la pensava diversamente, che ha fatto dell'antifascismo fiorentino e della battaglia militare e politica per la liberazione di Firenze, una tappa importante per preparare l'ingresso a pieno titolo dei partiti della Resistenza nella storia politica generale.
Don Bensi è stato la guida spirituale di don Lorenzo Milani, colui che lo ha accompagnato in quel lungo processo che ha portato Lorenzo Milani dal più schietto laicismo a una fede vissuta con la coerenza e l'assolutezza che conosciamo. Questo lungo itinerario è documentato nelle centinaia di lettere scambiate e che rappresentano certamente qualcosa di unico e di prezioso per comprendere la storia di una personalità così eccezionale come don Lorenzo Milani. Ci auguriamo, come tanti studiosi, che anche se tali lettere non possono essere disponibili nel presente, tuttavia saranno salvate per essere conservate agli studi e alla riflessione di generazioni future. Credo che un laico possa esprimere la propria ammirazione e riconoscenza per l'opera civile, umana e sociale che ha svolto e per la fede che ha saputo ispirare non solo nei cristiani, ma anche in coloro che credono nelle opere.