COPERTINA

SAN DONATO

CONVERSIONE
LA VITA
BARBIANA

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PRIORE
GRUPPO STORICO DELLA LETTERA A UNA PROFESSORESSA - CENTRO RICERCA E FORMAZIONE DON LORENZO MILANI E SCUOLA DI BARBIANA - VICCHIO MUGELLO ( FI)
FONDAZIONE DON LORENZO MILANI E SCUOLA DI BARBIANA - LUNGRO - CS - CIRCOLO CULTURALE POPILIA - CS - SENTIERO NON VIOL.ENTO - CS -
SAN DONATO
DON PUGI IL PROPOSTO DI SAN DONATO
Il Cappellano con don Pugi

Il proposto don Daniele Pugi, vecchio d'età e d'acciacchi, non ce la faceva più a reggere una parrocchia grossa. Aveva, perciò, chiesto al cardinale che gli inviasse un cappellano, spiegandogli che per motivi economici non avrebbe potuto pagarlo.
Elia Dalla Costa rispose: “Ho quest'anno un giovane prete che non ha nessuna pretesa e vuol vivere poveramente, un certo Lorenzo Milani ” (1.
La madre comunica, con due lettere alla figlia Elena, gli entusiasmi e le speranze del figlio, indaffarato ad organizzarsi per questo grande evento: “ Lorenzo ha avuto la nomina a cappellano a S. Donato ... . Le informazioni avute a Firenze sono queste: fame, miseria, popolo comunista, industrie. Però il parroco, che è svagolato, pare sia carino Domani Lorenzo va a vedere, ma ha già accettato ...(2). Stamani è partito Lorenzo contento e stanchissimo. Ieri ha confessato duecento bambini per la cresima di qui, poi è andato a Ciliano e ha avuto 7.200 lire a diminuzione dei suoi molti debiti. A notte ha fatto tre valigione di libri e poi è partito. Il suo parroco ha avuto molti contatti con Don Bensi, Don Bartoletti e il proposto di qui e ti puoi immaginare che questi tre hanno preparato bene il terreno e lo aspettano a S. Donato con ansia e con gioia.
Il parroco ha accettato per il suo cappellano 40.000 lire e Lorenzo crede che con queste vivrà da signore. Speriamo che tutti questi suoi entusiasmi non abbiano troppo presto una doccia fredda ”
(3).

Il periodo affascinante di Lorenzo prete è quello a San Donato. Mandato in aiuto di un parroco ormai vecchio e malandato, circondato da un centinaio di giovani a cui fa scuola, vive le miserie materiali e spirituali della gente del luogo. Uomini e donne chiusi nella loro solitudine. Contadini smaniosi di andare in città. Operai sfruttati e oppressi da tanti padroni. Era l'8 ottobre del 1947, nonostante la pioggia fu accolto festosamente: “ Ieri sera son arrivato che pioveva, ma c'era sotto l'acqua una quindicina di ragazzi e di giovanotti ad aspettarmi e che m'hanno accompagnato in corteo fino a casa e poi si sono attaccati alle campane e hanno suonato un gran doppio a distesa per annunciare l'arrivo del tanto atteso cappellano (4) ”.

La Propositura era Pieve, si legge nell'introduzione di Esperienze Pastorali, e fu costruita tra il IX e il X secolo. Alla fine del '200, i possessi, il monastero, le decime e le pertinenze consentivano al pievano di San Donato, il poeta e filosofo Arrigo da Settimello un alto reddito: " ... Beneficio assai ricco che gli potea apparecchiare ozio alle lettere "(5).
La vocazione del suo illustre predecessore deve aver fatto sorridere il giovane sacerdote, intento a documentare la ricca storia della sua parrocchia proprio per mettere in risalto le diversità culturali, i pregi e i privilegi all'interno del suo popolo. Anche il grande papa Leone X fu da giovinetto, pievano di S. Donato.
Nel 1.782 la Commenda e la Compagnia vengono soppresse e espropriate, pare dal granduca di Toscana Leopoldo I.
Con ironia il giovane Cappellano commenta:
“ O felix culpa quella del Granduca che tolse a questa chiesa la sua ricchezza e potenza. Ma sarebbe stato meglio se avesse potuto toglierle anche l'aspetto esterno di ricca e potente. Il povero che s'affaccia al bel chiostro e bussa al portone stemmato non sa certo che il prete che ci abita non dispone più nè di terre nè di rendite e neanche delle stanze che danno sul chiostro e sul piazzale e che hanno tutto l'aspetto d'essere una sua sfarzosa canonica … (6).
Quando don Lorenzo venne nominato cappellano c'erano, a San Donato, circa 1.500 anime, contadini ma anche tanti operai. L'abbandono delle terre, dovuto al forte sviluppo industriale del dopoguerra, incrementava la popolazione delle aree limitrofe a Prato e a Sesto Fiorentino. Molti andavano a lavorare alla Richard Ginori. I più giovani lavoravano nelle fabbriche tessili di Prato. Minorenni sfruttati, lavoravano di notte, senza libretto e senza assicurazione.
Erano giovani di 13-14 anni che si allontanavano dalla Chiesa e venivano attratti dai nuovi bisogni e nuovi piaceri. Con loro il cappellano dialogava con gli sguardi e da lontano: “ Ma negli occhi di quei ragazzi, mentre s'affrettano verso il lavoro e guardano di sfuggita la strana cerimonia (la processione), c'è un giudizio negativo. Qualcuno abbozza ancora una specie di segno di croce che fa felice il buon vecchio Proposto e che al cappellano pare invece un ultimo schiaffo (6).
Una domenica sera e di pioggia, la canonica era un deserto, don Lorenzo vide che i giovani e gli uomini del popolo, erano tutti al campo sportivo: “ Come può un uomo, creato da Dio intelligente per poter conoscere la Verità ed essere Suo Figlio, tralasciare la mensa dell'Eucarestia, la possibilità di veder cancellato il peccato, per il pallone o il biliardo? ”.


LA CULTURA CONSUMISTICA 
METTE IN CRISI LA PARROCCHIA

 

La parrocchia tradizionale era giunta a un seria crisi, dovuta ad una religiosità priva di contenuti e caratterizzata dalla non partecipazione al rito. E i preti? Vivevano chiusi in canonica. Uscivano solo per portare i sacramenti ai malati o per benedire le case. Facevano suonare le campane, facevano le processioni, amministravano i sacramenti, ma intanto il mondo gli scappava di mano.
Erano tempi, secondo il cappellano, in cui la Chiesa, avrebbe potuto ancora difendersi dall'egemonia materialista della cultura borghese e consumistica. Analizzando i comportamenti dei suoi popolani scopre, in loro, una religiosità superficiale e incoerente. Le confessioni si fanno sempre più sacrileghe. Si va alla Messa, al Vespro, al catechismo, per pura abitudine oppure perché spinti dalle famiglie. La religiosità degli anziani teneva in grande considerazione le feste, le processioni, le manifestazioni esteriori, ma si teneva alla larga dai Sacramenti.

Il giovane prete, ansioso di conoscere il popolo, si applica subito allo studio dell'ambiente in cui deve operare e si mostra curioso verso un mondo che era stato a lui estraneo fino a quel momento. Un mondo che stava imborghesendosi nell'anima e assumeva i modelli della vita borghese e anche della cultura dominante. Quella che per fede don Milani aveva abbandonata.
Per raccogliere un'ampia documentazione sulla parrocchia, utilizza un metodo, rigorosamente scientifico. Ogni opportunità era sfruttata pur di raggiungere le persone e capire le situazioni ambientali e religiose. Tutte le mattine, dopo la Messa scendeva in paese, per fare delle telefonate, ritirare la posta, prendere il giornale, ecc. e così attaccava discorso con i giovani che incontrava. Girava e guardava con naturalezza e curiosità gli abitanti della parrocchia. Voleva conoscere tutti gli angoli delle case, anche topograficamente. Voleva conoscere la gente. Il cappellano di S.Donato, si occuperà immediatamente delle questioni vitali, come la disoccupazione, lo sfruttamento del lavoro minorile, la crisi degli alloggi. Vede il futuro dell'uomo moderno legato senza alternative a un bisogno di uguaglianza culturale. Sarà, infatti, l'analfabetismo ad aprire in lui quesiti di coscienza.

La sua analisi conoscitiva dei problemi sociali e politici della gente produrrà risultati statistici allarmanti che leggeranno quella realtà con cifre e percentuali. Il cattolico d'anagrafe, se povero, non è nemmeno uomo!
Getta le basi per una nuova pastorale, partendo dalla considerazione che, democristiani e comunisti, siano entrambi dei materialisti: “ ... un ateismo ormai quasi completo e da generazioni ... ”.
Il diffondersi del comunismo ateo “ ... non era la causa ma la conseguenza ... " di questo materialismo già ben radicato “ ... forse tra il clero stesso ... perché pensiamo che un popolo intimamente cristiano avrebbe saputo esprimere il suo giusto bisogno di rivoluzione senza perdere per questo la sua fede ... ” (6).

Di tutto ciò, incolpa il metodo utilizzato dalla gerarchia nella cura delle anime e l'uso di un linguaggio incomprensibile, lo stesso usato da chi, detenendo il potere, calpestava i più deboli. Documenta ogni evento. Produrrà, dopo lunghi anni di riflessioni e quando ormai è a Barbiana, un libro di memorie e testimonianze capace di demolire l'impalcatura che sorregge forme di religiosità legate ad abitudini lontane dal cristianesimo originario. Individuate le cause, propone i suoi drastici rimedi ai Sandonatesi battezzati che andavano alla Messa la domenica e si comunicavano soltanto nelle feste. Ma a lui non piace il modo con cui si partecipa alle funzioni tradizionali (le manifestazioni esteriori delle feste e delle processioni) e considererà addirittura inutili le prediche e il catechismo di fronte all'inferiorità culturale dell'uditorio. Scende dal pulpito e, appesa una cartina della Palestina ad una colonna, con un bacchetto indica e contestualizza la storia di Gesù, il figlio di un povero artigiano. Se Dio ha parlato, compito del sacerdote è quello di rimuovere gli ostacoli per consentire l’accesso alla Parola. Preferirà insistere: “ sull'aspetto interiore e personale ” della religione per far superare gli aspetti esteriori e formali.

LA TESTIMONIANZA

Con coerenza feroce e disponibilità, per i suoi, in qualunque ora del giorno e della notte, testimonia, in modo singolare, il suo apostolato: “ Viveva poveramente, ma non è che cercasse la povertà come certi trappisti o eremiti. Anche Capitini venne su una volta e si discusse, poi lui disse: “Apprezzo il cibo vegetariano e basta! ”. Invece don Milani diceva, in tono scherzoso: “ Io sono un goloso!”. Per esempio il venerdì era rispettato rigorosamente. Lui non aveva però né di più né di meno delle famiglie più povere. Se gli portavano un dolce lui lo mangiava insieme agli altri, un bicchierino non lo rifiutava, ma se nel mezzo di una discussione andavano a chiamarlo perché si freddava la pasta, questo non gli importava nulla, seguitava fino in fondo. C'erano poi dei fatti che noi non si capivano, come quello di andare a trovare dei girovaghi o zingari che si fermavano a fare degli spettacoli. In genere s'era un po' razzisti, lui invece cercava di andare loro incontro, ne battezzò anche alcuni, presso di lui, tutti trovavano ospitalità” (7).
Giorgio Pelagatti ricorda la sensibilità, particolare, per gli orfani: “Quando moriva qualcuno, i familiari davano un offerta alla Madonnina del Grappa e chiedevano che venisse un gruppo di bambini al funerale. Si dava il caso che qualche volta piovesse. Allora questi bambini che non avevano l’ombrello, si ammollavano tutti. Allora lui disse: “ Da ora in avanti i bambini stanno a casa ”. E spiegò il motivo: “Non è giusto che questi bambini vengano ad ammollarsi soltanto perché voi credete, nel far un’offerta di far del bene”. Era sensibilissimo. Si vedeva passare per le strade con un barroccino a chiedere per gli orfani.” “ Voglio viaggiare con la bicicletta, soleva dire, perché la bicicletta è il mezzo comune ” . Quando andò a Roma per l’anno santo, il 1950, vi andò in bicicletta. Erano modi di fare diversi dagli altri preti”.

 

LA SCUOLA POPOLARE

Per avvicinare i giovani aveva utilizzato tutti i sistemi possibili, imitando i suoi confratelli. Stanco delle ricreazioni che lo mettevano in gara con la Casa del popolo, una gara a basso livello, si ribella e mette in discussione l'identità del sacerdote, trasformato e reso inadempiente da una società consumista e materialista: “ A un certo punto ho superato ogni resistenza interiore, e il ping-pong e gli altri arnesi da gioco volarono nel pozzo e organizzai la scuola popolare per i giovani. Infatti bisognava che i giovani, o con le buone o con le cattive, capissero che la scuola era la loro salvezza”(6).
Cominciò col fare scuola, senza interruzione. Una scuola al servizio dell'uomo per colmare la differenza e non solo per eliminare l'ignoranza. Una scuola per i poveri e non per i ricchi. Una scuola determinata da un'ansia religiosa, anche se nella più rigorosa laicità.
“ I sandonatesi avevano una cultura al di sotto della media quando arrivò questo pretino pieno di entusiasmo, sempre vestito in tonaca e senza quel grande cappellone che portavano gli altri sacerdoti ” (8).
Sono due gli obiettivi che si pone: l'educazione dei giovani e la rieducazione del clero.

Per raggiungere il primo obiettivo, il giovane cappellano fonda una scuola popolare. Bisognava sporcarsi le mani e uscire dalle vecchie abitudini comuni: “ Se tu vuoi telefonare a uno e ti accorgi che un filo è bruciato, non ti intesti a parlare ugualmente al microfono e non dici per esempio: " L'unica cosa che conta è parlare di Dio nel microfono; se poi un filo è bruciato, questo è un fatto mondano, terreno, assolutamente estraneo alla missione del sacerdote". E invece con poco sussiego, ma con grande praticità e semplicità, prendi un pezzetto di filo e un po' di nastro isolante e accomodi il telefono e poi parli ” (9).

La Scuola Popolare era una risposta unificante alla divisione politica e culturale interna al popolo e sostituiva all'agonismo del pallone il piacere di sapere. La prima cosa che insegnò fu che il bene e il male non sono tutti da una parte e lo racconta descrivendo la lenta trasformazione che avveniva negli allievi: “Di comune hanno poco (neanche l'amicizia fra tutti) fuorché un bel progresso che han fatto nel cercar di rispettare la persona dell'avversario, di capire che il male e il bene non son tutti da una parte, che non bisogna mai credere né ai comunisti né ai preti, che bisogna andar sempre controcorrente e leticare con tutti e poi il culto dell'onestà, della lealtà, della serenità, della generosità politica e del disinteresse politico ... è rimasta impressa in loro per sempre la cosa che più mi premeva: il sistema della critica senz'odio ecc. ...” (10).
Offriva una risorsa di cui tutto il popolo aveva bisogno, credenti e non credenti. Voleva aumentare gli interessi e elevare il livello culturale dei giovani. La scuola c'era tutte le sere. Cominciava alle 20.30 e andava avanti fino ad esaurimento. Tutti i venerdì c'erano le conferenze e i dibattiti, che venivano preparati con altre lezioni. Gli argomenti erano vari: storia dei partiti, del sindacato, delle religioni, musica, filosofia, astronomia, medicina, problemi di attualità. Durante gli altri giorni la materia principale era la lingua cioè: la padronanza della parola.
Per quelli che facevano i turni era un grosso disagio. Chi faceva il turno del mattino rimaneva anche fino a mezzanotte e mezzo e doveva poi alzarsi alle cinque. Quelli che facevano il turno della sera uscivano alle dieci e arrivavano in ritardo. Lorenzo era riuscito a fare scattare una molla, una motivazione: istruirsi per affrontare le ingiustizie che tutti i giorni subivano nei campi e nelle fabbriche. Lorenzo era un maestro eccezionale, sapeva tante cose e sapeva presentarle bene. La scuola era un divertimento: “Affascinato dal metodo d'insegnamento di don Lorenzo anch'io andavo volentieri alla scuola serale, pur avendo già fatto 3 anni dopo la quinta. Però lavorando nel fiume, in quel periodo ero reanaiolo, una sera il sonno prese il sopravvento. Ai mormorii e alle risatine degli altri don Lorenzo intervenne rimproverandoli: "Cosa avete da ridere bischeri! E' meglio un Giovanni a dormire qui che un Giovanni a giocare a ramino alla Concordia" (11). Perché in genere, nonostante che molti avessero lavorato tutto il giorno in mezzo ai telai e nei campi, nessuno dormiva.

“ In piazza nel paese c'erano le tre o quattro persone, il farmacista, il dottore, il maresciallo, che tenevano sempre banco. I ragazzi della scuola si intromettevano nei loro discorsi e li chetavano. Questo rendeva don Lorenzo orgoglioso.
Era una scuola fatta, principalmente, agli adulti ma vi partecipavano anche ragazzi di 12 anni. Il venerdì era piena, c'era chi stava in piedi ”
(8).

Alle conferenze non veniva escluso nessuno. Gli studenti avevano l’obbligo categorico di stare zitti. Al conferenziere invitato il cappellano dava tante raccomandazioni per interpretare l'ambiente e i bisogni dei ragazzi: “ Erano contadini che non capivano parole difficili di letteratura o di tecnica. Tante volte si verificava che qualche studente mettesse bocca e usasse, proprio per volere apparire, una parola di troppo: "Bravo, chi ha parlato? Chi è che ha detto questo?" diceva il conferenziere, e subito don Lorenzo: "Un bischero" ” (8).


Lo scopo della scuola era quello di elevare chi sapeva meno, normalmente più timido e impreparato: “ Bisognerebbe ordinare le nostre scuole parrocchiali in senso rigidamente classista. A noi non interessa tanto colmare l'abisso di ignoranza, quanto l'abisso di differenza. Se aprissimo le nostre scuole, biblioteche, conferenze, anche ai borghesi, cadrebbe lo scopo del nostro lavoro. Si accettano forse i ricchi alle distribuzioni gratuite di minestra? Il classismo, in questo senso, non è una novità per la Chiesa ” (6). Cercava con ogni mezzo di eliminare i dislivelli tra operai, montanari e contadini, compreso la timidezza che impediva la crescita. “Io stesso venivo mandato in giro a portare lettere ai preti che poi ho saputo non contenere niente dentro se non la preghiera di farmi parlare” (12) .
Era cosciente che il suo non era un metodo facilmente trasferibile o adattabile a realtà diverse. Saper educare non è un problema che si risolve solo nel metodo, ma nell'identità che il maestro esprime: “Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola e come faccio a averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che io precisi i programmi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola” (6).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GIOVANE PRETEcon don Pugi

 

LA POLITICA

Era una parrocchia divisa da forti contrasti. Pochi erano i giovani che frequentavano la chiesa, perché il paese ruotava attorno alla Casa del Popolo a maggioranza comunista. L'Azione Cattolica acuiva la divisione tra i lontani e i vicini. Indicava i lontani, quelli che non partecipavano al culto, come esseri inferiori, da compatire, ma non da amare come quelli della ditta. Una mentalità che ancora permane in un bigottismo da Provincia. Lui non voleva che la scuola fosse frequentata solo dai ragazzi della parrocchia e andò a cercare i più lontani dicendo loro che "solo l'istruzione li avrebbe resi liberi" e per evitare divisioni non aveva voluto crocifissi all'interno della sua scuola. Il giovane cappellano, per le sue idee, non era ben visto da molti sacerdoti e in curia arrivarono le prime critiche e lamentele. Tutto ciò non cambiò il suo comportamento.
I forti contrasti nati in occasione delle elezioni della Costituente, (don Lorenzo voterà per la Repubblica) avevano alzato il muro che divideva i pochi che si identificavano con la Democrazia Cristiana e i molti socialcomunisti. Pochi mesi dopo il suo arrivo, la D.C. vincerà le elezioni nazionali del 18 aprile. Nel '48, la ragione e gli alti valori etico-morali delle masse operaie e contadine facevano intravedere un mondo che non era più dominato dal caso e senza scopo. Mentre su scala internazionale si respirava un clima culturale che produceva riflessioni e timidi mutamenti verso un universo "pluralista", dopo il ventennio fascista, a San Donato si viveva una realtà piena di schematismi. Poche persone avevano il coraggio di andare contro corrente. L'individuo si trovava costretto a inserirsi e a riconoscersi dentro un "ordine" politico o uno schieramento dove trovare una propria identità. In questa parrocchia periferica dove tutto sembrava "immutabile", la forte e originale personalità, di un giovane sacerdote senza radici nella tradizione, mette tutto in discussione.

Nell'uomo Lorenzo, nel prete e nel maestro, tutto concorreva ad un'unica grande esperienza religiosa e educativa. Le due figure sono inscindibili, sia per la modalità attraverso la quale condivideva le storie individuali, sia per il desiderio che aveva di eliminare gli ostacoli che si sovrapponevano tra i bisogni veri e essenziali dell'uomo, creatura di Dio, e l'illusorio e alienante consumismo, ateo e materialista. Questa mentalità non schematica e quindi predisposta a vivere quello stato di grazia, povertà e peccato, nel quale ricevere la fede, dono di Dio, non è facile da comunicare al giovane comunista di Calenzano: “ ... Ma dimmi Pipetta, m'hai inteso davvero? E’ un caso, sai, che tu mi trovi a lottare con te contro i signori. San Paolo non faceva così. E quel caso è stato quel 18 aprile che ha sconfitto insieme ai tuoi torti anche le tue ragioni. E' solo perché ho avuto la disgrazia di vincere che... . E se la storia non mi si fosse buttata contro, se il 18... non m'avresti mai veduto scendere là in basso, a combattere i ricchi. ... Quando tu non avrai più fame né sete, ricordatene Pipetta, quel giorno io ti tradirò”.

Quando la Dc, forte della conquistata maggioranza assoluta, tradisce le promesse, fatte nella campagna elettorale, scriverà su Esperienze Pastorali: “ Per un prete, quale tragedia più grossa di questa potrà mai venire? Essere liberi, avere in mano Sacramenti, Camera, Senato, stampa, radio, campanili, pulpiti, scuola e con tutta questa dovizia di mezzi divini ed umani raccogliere il bel frutto di essere derisi dai poveri, odiati dai più deboli, amati dai più forti ”. Lorenzo, vedendo nel partito "cristiano" indifferenza verso il dolore e la collera dei poveri dà credito alle ragioni storiche e sociali del comunismo, ma non accetterà mai l'ideologia marxista. Considererà tale pensiero avanguardista e perciò elitario, guidato da intellettuali che non esprimevano le istanze dei poveri, ma semplicemente li comandavano: Partito Italiano Laureati. Profetiche e significative sono, a proposito, le lettere scritte al cugino Carlo.

Il 15 luglio 1949 l'Osservatore Romano pubblica il decreto della Congregazione del S.Uffizio, nel quale si stabilisce che i cattolici che in modo libero e consapevole s'iscrivono al partito comunista o lo sostengono non possono essere ammessi ai sacramenti, mentre i cattolici che professano la dottrina del comunismo incorrono automaticamente nella scomunica. Per questo motivo tre anni dopo, nelle elezioni amministrative del 1951, i vescovi toscani con un decreto invitano a votare per lo scudo crociato ed "in particolare per i candidati che avessero saputo difendere i diritti di Dio, della Chiesa e della Famiglia", e si proibiva di votare per i partiti contrari alla “santa religione”. Lorenzo obbedì. Sostenne tale tesi dall'altare dicendo che non si poteva votare ne per i partiti della sinistra perché vietato dai vescovi ne per i socialdemocratici e i liberali perché contrari alla religione. Quindi non restava altro che scegliere i candidati migliori della Dc e dava indicazioni di cancellare i candidati che non appartenevano allo scudo crociato, privilegiando i sindacalisti. Per questa affermazione, il cardinale Dalla Costa gli ordinò il silenzio. Per scrupolo di coscienza don Lorenzo salì su un treno e andò a trovare amici in Germania.
Alle politiche del 1953 il cappellano fa una distinzione tra gli obblighi dei parrocchiani praticanti e quelli cattolici solo perché battezzati. Anche solo per un problema di lealtà: “ Non si può imporre agli uni e agli altri la stessa legge. Non è corretto chiedere ai non cattolici di difendere diritti religiosi … nel gioco democratico non c'è posto per diritti considerati oggettivi da una minoranza” (6). Non si poteva chiedere, dopo 7 anni di malgoverno: “ … che i non cattolici votassero D.C. per la speranza di ottenere giustizia sociale cioè pane, casa, scuola, difesa dagli abusi padronali. … Al disoccupato o al senza tetto che non ha una fede non si può offrire riforme che lo raggiungeranno dopo la sua morte o dopo che i suoi figlioli saranno già stati marcati nella salute o nell'istruzione … non si poteva chiedere ai non cattolici che votassero D,C. per difendere l'ideale democratico … il povero non si batterebbe per difendere una “libertà” di cui non ha mai goduto se non in teoria e che comunque lo interessa logicamente meno del pane e della casa. E poi non si addice a noi cattolici erigerci a paladini del sistema democratico quando dichiariamo di essere indifferenti alla forma di governo e benediciamo Franco (il dittatore spagnolo) non meno di De Gasperi. E conclude dicendo che: “ ... non restava al povero nessun motivo razionale per votare D.C. Gli restava solo il motivo religioso: un atto di fede e di obbedienza alla Chiesa”.

Rivolgendosi poi a coloro: “ … che credessero di compiere quella santa pazzia restava loro ancora il grave dovere di attenuarla, preferendo i sindacalisti al candidato dell'A.C. che era notoriamente un uomo per il quale un povero non poteva votare … ma solo come un simbolico rifiuto dei poveri di votare per gli avvocati e i professori”.

Questa critica aperta nei confronti della Dc e della linea della Chiesa, erano gli anni della guerra fredda e dell'autoritarismo di Pio XII, fu una delle cause vere del suo trasferimento nel dicembre del 1954, sul monte Giovi. Pagava così lo scotto di avere detto, in qualunque circostanza piacevole o spiacevole, sempre la verità: “ Io al mio popolo gli ho tolto la pace, non ho seminato che contrasti... Ho sempre affrontato le anime e le situazioni con la durezza che si addice al maestro. Non ho avuto né educazione, né riguardo, né tatto. Mi sono attirato contro un mucchio di odio, ma non si può negare che tutto questo ha elevato il livello degli argomenti di conversazione e di passione del mio popolo”. Infatti quando la Richard Ginori, la più importante azienda di Sesto Fiorentino, licenziò centinaia di lavoratori e si trasferì a Livorno, non perse l'occasione per testimoniare la sua avversione a ogni forma di compromesso e strumentalizzazione ipocrita: “ I partiti politici di Calenzano presero un'iniziativa unitaria per solidarizzare con le decine di concittadini licenziati. Convocarono una assemblea pubblica alla quale partecipò anche il cappellano. Quando arrivò don Lorenzo, io ero con lui, la saletta del circolo Acli della Concordia era già gremita. I responsabili politici che presiedevano la riunione notarono la sua presenza e lo chiamarono: “Oh, abbiamo anche il nostro cappellano, se ha qualcosa da dirci si accomodi pure”. E don Lorenzo accolse l'invito e andò al tavolo della presidenza e rivolto all'assemblea disse: “A dir la verità ero venuto per ascoltare, ma dal momento che m'invitate a esprimermi devo confessarvi che, in quanto cattolico, mi sento correo della vostra situazione perché ho votato per il partito che di fatto governa e consente ai padroni di licenziare impunemente” . In una situazione di clima unitario, dove i responsabili dei partiti evitavano scrupolosamente di pestarsi i piedi, questo tipo d'intervento pose fine all'ipocrisia e dette un taglio più vivace e veritiero alla discussione” (11).
Dietro alla durezza covava, però, un animo sensibile e delicato: “ A scuola aveva un rapporto collettivo coi ragazzi, ma c'era anche un intenso rapporto individuale con ciascun giovane. Appena c'era uno spazio di tempo libero si vedeva a colloquio con qualcuno. Ci pigliava uno per uno se non eravamo noi a cercarlo, per avere un dialogo continuo fino a scavare in fondo alle nostre coscienze; spesso non c'era un confine preciso tra questi colloqui e la confessione vera e propria ... . Praticamente c'eravamo poi abituati a confessarci in qualsiasi posto si fosse, non c'era un luogo preciso. Ci aveva abituato a confessarci ogni volta che ne avevamo bisogno e non secondo le scadenze del calendario, come era di abitudine. Il suo modo di porsi con noi, nonostante la sua attività frenetica che lo portava ad alzarsi molto presto e ad andare a dormire tardi, era questo che gli importava, non tanto quello che poteva aver fatto nella giornata, quanto il suo modo di essere di fronte agli altri. Diceva: “ Non do importanza a quello che fo, alla parola che dico, perché sul piano divino, per incidere, ci vuole la Grazia, e su quello umano ci vuole l'esempio ” (12).

Testimonia Luana: “Hanno scritto che era un misogino, che le ragazze non le voleva a scuola. Non è vero. A quell'epoca c'era la divisione tra maschi e femmine, e lui cercò di superarla. Ci faceva partecipare alle recite parrocchiali e poi cominciò a restaurare un vecchio locale al centro del paese per la scuola di noi ragazze, ma non fece in tempo perché venne trasferito a Barbiana”.

Il 12 settembre del 1954, alla morte del vecchio parroco don Pugi, il contrasto fra don Lorenzo e gli altri preti dei dintorni emerge in modo violento. La successione doveva essere automatica. Invece la curia fiorentina nominò proposto di san Donato don Antonio Santacatterina, già pievano di Legri, una frazione limitrofa a Calenzano. La nomina ufficiale avvenne dieci giorni dopo. Lo racconta lo stesso Santacatterina parlando del colloquio avvenuto con il cardinale Elia Dalla Costa in un articolo pubblicato dall' Osservatore Toscano il 30 gennaio del 1969: “ Chiesi al cardinale: "E don Lorenzo?". "Se vorrà stare con lei almeno per un pò, come coauditore, bene, altrimenti gli darò una parrocchia". A causa dei rapporti che perduravano tra don Milani e i ragazzi di Calenzano, il contrasto e la tensione permarrà negli anni. Don Santacatterina in una lettera a Florit del 29.12.58 scriverà : “ ... Desidero esporre, per la prima volta, un mio desiderio: don Milani Lorenzo, lasciasse in pace la mia parrocchia di S. Donato. Egli mantiene sempre molte relazioni mediante lettere, e avvisi, raccomandazioni ecc, con quei pochi che mantengono relazioni con lui. Ad ogni festa speciale si raccomanda di andare molti da lui. Li riceve nello studio ad uno ad uno perché gli dicano che cosa si va dicendo di lui in parrocchia, dando così adito a chiacchericci ed invenzioni che non servano a nulla ” (13).

“ Di fatto c'era una differenza enorme e di conseguenza le difficoltà di convivenza erano oggettive. Fino a che ci fu il proposto, fece un po' da parafulmine a don Lorenzo, e riuscì a mantenerlo nella posizione in cui era. Dopo la morte del proposto la situazione precipitò. Fu presa quest'occasione per allontanare don Lorenzo da san Donato. La Curia, fra questi due modi di fare apostolato, scelse l'altro e mandò, diciamo, in esilio don Lorenzo. Questo nonostante che non fosse stato mai possibile a nessuno trovare in don Lorenzo, in quello che faceva, in quello che scriveva, degli errori dottrinali, perché non è mai stato condannato per questo. Casomai è stato ritenuto un prete che stava troppo sull'orlo del precipizio, che batteva strade pericolose, che non era prudente. Questo, secondo me e anche secondo gli altri che pure allora non erano dalla parte di don Lorenzo, è stato un grave errore storico fatto dalla Curia fiorentina" (12).

Quando il popolo si strinse intorno a lui per non farlo partire il cappellano spense ogni ardore e invitò i giovani della scuola a dialogare con il nuovo parroco. Una settimana prima della partenza per Barbiana Milani scrive a don Renzo Rossi: “ Mi raccomando a te che tu ti sforzi a predispormi bene i preti del vicariato. Dopo tutto non chiedo poi tanto: lasciarmi vivere, non riferire notizie di seconda mano, trattarmi con benevolo compatimento come si tratta il neofita e il convalescente. Non soffro tanto per il distacco dal popolo (distacco relativo, perché non ci eravamo mai voluti bene come dopo questa batosta) quanto per il fiasco clamoroso che ho fatto nell'intesa coi confratelli vicini ”.

L'amarezza per l'allontanamento da S. Donato e l'amore per i "figlioli" producono, però, un giudizio tagliente sui confratelli: “ Nove anni fa, dopo 7 anni di incensurato apostolato, don Biancalani, don Santacatterina ed altri preti della zona, vollero il mio allontanamento in modo e in circostanze infamanti e un assurdo esilio in una parrocchia disabitata... Ebbero facile gioco a calunniarmi in Curia e nel popolo perché non rispondevo” (14).

Due anni dopo il trasferimento a Barbiana ribadisce, a don Rossi, il contenuto della propria missione: “ Son giunto alla conclusione che sia mia specifica missione non il distribuire pensieri prefabbricati ai preti, ma solo turbarli e farli pensare. Questa missione di conturbatore di coscienze ha il vantaggio di comportare pochissime responsabilità e perciò ben si addice alla mia giovane età”.

In realtà, lasciare i ragazzi di san Donato e interrompere la Scuola popolare fu, per Lorenzo, una sofferenza indicibile: “ Questo mette in questione la cattolicità di tutto il mio lavoro perché io m'illudevo d'essere ancora un prete cattolico, ma ora che i preti più vicini in perfetto accordo m'hanno sbranato io appaio agli occhi della gente come un prete isolato e un prete cattolico isolato è inutile, è come farsi una sega. Non sta bene e non serve a niente e Dio non vuole” (15).

Sofferenze accentuate dall'incomprensione della Chiesa, a sentire il suo confessore: “ Veniva sempre da me quando stava male dentro e non ne poteva più. Era disperato come un bambino, qualche volta scoppiava a piangere a dirotto. La sua pena, la sua ostinazione era sempre la Chiesa. A nessuno chiedeva d'essere capito, ma alla Chiesa sì. Poi, quando si era sfogato e mi aveva pianto sulla spalla, tornava fiero, altero, sicuro. Dai suoi ragazzi non voleva farsi vedere che forte: di questa sua forza avevano bisogno come dell'ossigeno. Ma io solo forse, e pochissimi altri, sappiamo il prezzo che gli costava. Si confessava molto spesso, soprattutto quando era più vicino, a Calenzano. Certe volte, ricordo benissimo, preso dalla tenerezza, dimenticando che quel ragazzo inginocchiato davanti a me era il prete che stava lacerando la cattiva coscienza dell'Italia cattolica, chiudevo gli occhi e lo consideravo ancora il mio giovane seminarista. E anche lui, come tutti gli altri, chiamavo "passerottino mio". Non l'avessi mai fatto! Schizzava in piedi anche durante la confessione, stravolto. Non voleva tenerumi di nessun genere. Si arrabbiava e gridava: "Cosa crede, lei! Ha preso la Chiesa per una passeraia?"” (16) .

La morte di don Pugi non fu altro che l'occasione per l'attacco finale: “ Don Pugi, nonostante i suoi 78 anni, era l'unico che l'aveva capito e che l'aveva difeso. Quando si trattò di nominare un successore, fu scelto un altro prete dello stesso vicariato ma di parte avversa. A don Lorenzo veniva semmai lasciata la possibilità di restare come cappellano e di pensare alla scuola. Lui ne fece una questione di principio: la scuola non era un suo hobby particolare, era il suo modo di essere prete e di essere parroco. Disse che due preti giovani non potevano stare in una parrocchia piccola come quella di san Donato, quando ce n'è tante vuote senza prete. Voleva essere parroco, il riconoscimento di essere prete a tutti gli effetti, con piena autorità e responsabilità. Andò dal Cardinale e gli chiese una parrocchia. E il Cardinale gli rispose: "Dove la trovi una parrocchia adatta a te? Mi hai diviso il popolo in due" (1). ”

Al suo Vescovo, rispoderà più tardi e in modo non diretto. Lo farà scrivendo proprio ad uno di quei giovani comunisti che aveva tanto amato, affinché anche lui non fraintenda il suo messaggio:

« Il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, installato la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordati Pipetta, quel giorno ti tradirò, quel giorno finalmente potrò cantare l'unico grido di vittoria degno di un sacerdote di Cristo, beati i poveri perché il regno dei cieli è loro.
Quel giorno io non resterò con te, io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso».

 

NOTE

1. Testimonianza Michele Gesualdi, 5.6.77 Comunità e Storia

2. Lettera del 5 ottobre 1947

3. Lettera del 9 ottobre 1947

4. Lettera alla mamma

5. Villani

6. Esperienze Pastorali

7. Testimonianza Luigi Cerbai - Comunità e Storia 5.6.77

8. Testimonianza Giorgio Pelagatti

9. Lettera a un sacerdote - 1958 - Comunità e Storia 5.6.77

10. Lettera a G. P. Meucci 25.6.51

11.Testimonianza Giovanni Bellini - Intervista

12. Testimonianza Maresco Ballini - Comunità e Storia 5.6.77

13. ISR, Fondo Don Milani - Carte Florit.

14. Lettera al vicario generale 20 ottobre 1963

15. Lettera a don Renzo Rossi del 1.12.54

16. Testimonianza Don Raffaele Bensi