INTERVISTA

di E. Martinelli a Gianni Trallori,

allievo di don Milani alla Scuola Popolare di San Donato a Calenzano


Gianni Trallori non ha la pretesa di essere stato un discepolo del cappellano di San Donato. Di certo è uno di quelli che ha frequentato completamente il corso di alfabetizzazione che don Lorenzo Milani aveva organizzato per i giovani del suo popolo: la famosa scuola popolare, motivo di dissenso e di gelosie tra i notabili e i confratelli delle parrocchie limitrofe. E’ un compagno di quelli che non si vergognano di avere votato Partito Comunista per tutta una vita. Anticonformista, al massimo resta fedele agli ideali marxisti-leninisti. Non prende più nemmeno il caffè alla Casa del Popolo del suo paese perché da quando D’Alema è diventato un signore, barca a vela ed ideologia di guerra, il movimento né ha risentito. Fra l’altro il consumismo e il guadagno, secondo Gianni, hanno portato i gestori ad acquistare qualità sempre più scadenti, per cui meglio non finanziare. “La vecchia funzione di aprire il cervello alla gente è decaduta. Si pensa solo al divertimento frivolo che si trova in qualsiasi altro locale”. Lo ribadisce e ricorda ancora i valori appresi alla scuola del prete. Lo trovo nella sua casa di campagna. Gioviale e allegro, sta accudendo la cavallina. I suoi pomodori rossi e enormi spiccano nel verde circostante. Fare feste con gli amici e leggere i classici della letteratura russa e francese, i sui autori preferiti restano Gorki, Tolstoi, Cechov, Balzac e Guy de Maupassant, sono le attività preferite, insieme alla musica classica. Nella sua libreria tiene un centinaio di libri che legge e rilegge: La Madre, I Promessi sposi, Il tallone di ferro di Jack London, Il quartiere, Metello e Cronache di poveri amanti di Pratolini, le novelle di Tozzi e Fucini, le opere di Giovanni Verga, di D’Annunzio e del Lorenzetti. In cassette di legno tiene e ascolta vecchi dischi di Beethoven, Vagner, Verdi e Puccini. Ormai sessantenne e malamente pensionato investe il tempo a riflettere. Anche se deluso, non demorde. L’avevo avvertito che sarei venuto stamani, così subito gli chiedo quali fossero state le prime impressioni avute nei primi incontri con Lorenzo Milani, giovane cappellano a San Donato, dal novembre del ’47 al dicembre del ’54.

Gianni Trallori: Le prime impressioni? Sono tempi lontani. Qundo ero ragazzo il popolo di Calenzano ruotava attorno a tre figure principali: il prete, il farmacista e il maresciallo dei carabinieri. Questi personaggi che si ponevano su di un piedistallo di piume di pavone, incutevano rispetto, ma niente facevano per aprire la mente della gente, anzi contribuivano a tenere nell’ignoranza più nera e si relazionavano solo con i notabili di paese. Lorenzo Milani scende dal piedistallo e viene in mezzo al popolo con parole e insegnamenti diversi. Quindi il primo impatto forse fu questo. Lui era tutt’altra cosa del sacerdote normale per come t’avevano insegnato. Era, come si direbbe oggi, un prete d’assalto, come per esempio quei sacerdoti dell’America Latina che combattono a fianco dei poveri. Era vicino a Dio, ma molto vicino al popolo, ai problemi del popolo. In lui si vedeva già un cristianesimo, o un cattolicesimo, diverso da come era sempre stato. Dove il prete pensava a far le feste, alle Quarant’ore, ai santi e a tutta questa roba qui e, non so, poteva dire un’Ave Maria per una vedova o un Pater Nostro per un ragazzo che aveva perso il babbo o la mamma, ma poi più in là di qui non faceva altro.

E. M.: Cosa faceva di diverso?

G.T: Questo prete prima di tutto ha fatto una scuola popolare, come ben tu saprai. Oltre a parlarci di Dio, oltre a parlarci dei comandamenti, ci parlava anche d’altre cose: di come era la vita, di quelli che potevano procurare danni al popolo, i danni morali e anche i materiali, i cosiddetti signori, i padroni. T’insegnava come fare a combatterli, come fare ad arrivare a conquistarsi un posto e una dignità. Fino a quei tempi i sacerdoti se ne fregavano. Non è che interessasse loro che il popolo avesse la sua dignità o che combattesse contro i padroni e facesse valere i propri diritti. Lui invece t’insegnava proprio come far valere i tuoi diritti. Bisognava combattere, quindi era una cosa bella, no?
Ah! Posso parlare dell’aspetto fisico di questo prete, alto, con una fronte spaziosa e uno sguardo che esprimeva calore. Questo cappellano quando arrivò si fece subito ben volere dal popolo. Mentre le cosiddette beghine, quelle che frequentavan di più la chiesa,dicevano: " Va, bada là? Che animale gliè quello là, Dio bono".
Ride.
Indossava sempre la tonaca e quei sandali. Me lo ricordo sopra una bicicletta nera, con portapacchi e con quella pedalata veloce accompagnata dallo sventolio della “sottana”. Era una figura bella a vedersi. La fronte spaziosa dimostrava una buona intelligenza. Anche da ragazzo ero sempre stato un osservatore di queste cose. Sì, dava subito l’impressione d’essere una persona intelligente.
Mi ricordo gli inizi! Riuscì subito a legare coi frequentatori della parrocchia, particolarmente con le donne, non so, sarà stato l’aspetto fisico, e con quelli che gravitavano lì. Poi ebbe la fortuna di trovare un prete, un buontempone, fumatore di sigaro, aveva sempre il toscano in bocca, che era di Campi. Il proposto, don Pugi, non gli intralciava le sue innovazioni, anzi! Diceva alla gente, quando gli parlavano male di Don Milani: “E sai, gl’è così lui, gl’è così lui” e difatti era così.
Ride.
Anche se aveva delle pressioni dalla Curia, cercava sempre di coprirlo e difenderlo. Perché per quei tempi, un Don Milani, era un po’ scomodo.


E.M.: Pressioni della Curia? In che senso?

G. T.: La Curia non vedeva di buon occhio che questo prete s’interessasse troppo delle cose terrene, ch’aprisse le menti coi suoi insegnamenti. La chiesa faceva l’opposto, se ne disinteressava. Queste cose son palpabili. La storia lo dimostra.

E.M.: Quindi il popolo ebbe verso di lui un atteggiamento positivo?

G.T.: Sì.

E.M.: Mentre i preti, a parte qualcuno?

G.T.: Questo prete che parlava d’ingiustizie sociali, passò subito come un prete rosso. Invece qui si delinea proprio l’aspetto del sacerdote. Penso che lui credesse veramente in Dio e che per lui gli uomini fossero veramente tutti fratelli. Però t’insegnava qual’erano i fratelli che opprimevano e qual’erano i fratelli che sfruttavano.

Ride ironico fumando il toscano.

Ho delle buone impressioni verso questo prete, per il fatto che fin da bambino mi faceva osservare e riflettere, anche se non è che io legassi tanto. Cominciai subito a frequentarlo. Veniva a farci catechismo alla scuola elementare e poi, ma non subito, creò la scuola popolare. Non è che lui volesse inquadrarci oppure imporre che un giovane non dovesse giocare. Si doveva fare l’uno e l’altro. In particolar modo più studio e meno gioco. Nella realtà era l’opposto: molto gioco e poco studio. Questo hanno sempre voluto i preti e i padroni. Questo ci spiegava. Se ti buttava via il pallone era perché, quando ti chiamava per insegnarti qualcosa, te facevi orecchie da mercante. Allora te lo prendeva e te lo buttava via. Così la volta dopo, quando ti chiamava, tu andavi.

E.M.: Non mi hai ancora detto come era visto dagli altri preti?

G.T.: Dai preti non bene. Come tutte le cose, le innovazioni, lo sai, subito non si accettano. Quello che interessava a loro erano le processioni, le celebrazione dei santi, i grandi desinari. Lui cominciò a esser contro queste cose. A dire: "Ma perché nelle comunioni si deve usare bei vestiti, in una apparente orgia del lusso dei poveri?” Passava il bimbino a comunione e subito i genitori si mettevano alla ricerca del vestitino più bello. Lui invece se ne fregava, per lui i valori erano altri. Quindi dal clero locale non fu accettato. I notabili del paese, i commercianti, questi benestanti che avevano avuto sempre privilegi non lo volevano perché lui faceva capire, come Carlo Marx, che siamo tutti uguali. Come diceva anche Cristo, ma loro se n’erano scordati da un pezzo e lui gliel’aveva ricordato. Loro questi privilegi non li volevano per niente perdere e quindi quest’uomo fu odiato, veramente odiato. E poi è andata come è andata. Fu mandato in esilio e non ci furon più problemi. Naturalmente, lo sai anche te, fu sempre seguito dal popolo. Addirittura organizzavano pullman per andarlo a trovare, perché aveva un’ascendente formidabile. Se fosse stato in Sudamerica, come i “preti rossi”, son sicuro, l’avrebbe pagata con la vita. Invece fu mandato in esilio in vetta a una montagna sperduta. Non potevano ammazzarlo, se no l’avrebbero anche ammazzato. Fu proprio odiato e questa è la verità. Lui voleva sì salvare l’anima, lo diceva con quella tonaca nera che siamo tutti fratelli, ma che c’è fratelli che opprimono e sfruttano. Ha pagato per quello che ha fatto.
Poi ti posso parlare dell’insegnamento che era diverso. C’era un dialogo enorme, un dialogo bellissimo tra insegnante e allievo. Non era la lezione schematica “tum-pum”, no, c’era la discussione. Anche su una parola c’era un'ora di discussione. Era un insegnamento bellissimo, anche se poi era tollerante fino a un certo punto: disapprovava l’ignoranza e l’indolenza. Addirittura aveva degli scatti da violento, se mentre parlava uno si distraeva. Forse aveva anche ragione, porca miseria!

E.M.: Ma su di te cos’ha provocato il suo insegnamento? Ti è servito?

G.T.: Sì, prendeva i ragazzi dalla quinta elementare per infondere il suo insegnamento attraverso materie come il francese, l’inglese, la musica classica, la pittura, la letteratura e soprattutto lo studio della storia, dal punto di vista di chi l’ha sempre buscate. Non c’era la cattedra. Infatti gl’insegnanti, i professori, come li vuoi chiamare, erano lì in mezzo a noi. Un po’ come cercano di fare ora. Lui lo fece 53 anni fa, in barba a tutti i ministri dell’istruzione, in barba al papa, al clero, che ora si è rinnovato ed è andato un pò sulle sue posizioni. Lui ha bruciato i tempi. Ha detto cose che ora cercano di fare dopo cinquant’anni. Per me è stato un bell’uomo, anche se io a quei tempi ero già imbevuto, avevo già letto il Manifesto di Carlo Marx a 12-13 anni, per cui avevo abbracciato l’ideologia marxista. Vedevo i preti e la religione come l’oppio dei popoli. Preti, monaci e frati fanno tutto per la grandezza della Chiesa che significa oppressione di popolo.

E.M.: Che differenza c’era tra la scuola dopo cena, quella delle conferenze, e la scuola popolare?

G.T.: La scuola popolare era di sera perché c’era gente che lavorava, finivan di lavorare e venivano alla scuola. Poi naturalmente si facevano delle conferenze, su Confucio, sul Buddismo, sulla medicina o come funziona un radar. Argomenti di vario tipo: dalla politica alla tecnica.

E.M.: Come ti spiegava il radar e cosa ti diceva su Confucio?

G.T.: Mi ricordo di quest’onde che battono contro l’ostacolo e che ritornano. Di Confucio mi è rimasta impressa la massima: "Non ci sono cattivi allievi, ma cattivi maestri". Insegnamenti bellissimi e dati cinquanta anni fa quando un contadino o un operaio tessile s’immaginavano che Confucio fosse un corridore del giro d’Italia. La scuola popolare era di sera, dalle 18 alle 20,30, mentre le conferenze, aperte al pubblico, si tenevano una o due volte il mese in un altro locale e dopo cena.

E.M.: Quanta gente veniva a queste conferenze?

G.T.: Queste conferenze venivano fatte in quello stanzone accanto alla casa del becchino, sulla strada per S. Donato, a destra, e era pieno, pieno, pieno.

E.M.: Cento persone?

G.T.: Cento persone magari no, forse 80. Poi vedevi la gente in silenzio, per l’ascendente che la presenza di don Lorenzo aveva sul popolo. Lui voleva dare un bagaglio culturale anche al figlio dell’operaio che andava al cementificio della Marchino oppure che lavorava in una tessitura, in una filatura o nell’edilizia.

E. M.: Quindi non era un settario come tanti dicono?

G. T.: No, no, te l’ho detto. Insegnava che siamo tutti fratelli. Come sacerdote ti voleva salvar l’anima, però ti spiegava che c’è chi vive nel lusso e chi muore di fame.

E. M.: Hai parlato di materie come l’inglese e la musica.

G. T.: L’inglese, già a quei tempi, s’imparava con i dischi e le cuffie. Era più facile da apprendere. Poi mi ricordo l’attenzione che si prestava. Questi tavoli lunghi, con queste panche, la lampadina, con il piatto di latta, che scendeva dal soffitto, perché allora il neon non c’era mica e poi vedevi questa gente con la tuta. Forse loro subivano il suo ascendente come sacerdote, io no, io no. Io lo vedevo solo come uomo. Gl’altri li vedevo non dico impauriti, ma con la timidezza e la reverenza che incute il sacerdote. Allora c’era il complesso del gerarca che io avevo eliminato. Fui ribelle anche verso questo prete. Gli tirai anche delle belle sassate da ragazzo, però, ti dirò la verità, sentivo che c’era qualcosa: ero contro, però ci ritornavo. Mi ricordo che mi piaceva l’archeologia e don Lorenzo aveva dei libri. Ancora non aveva fondato la scuola popolare. Me li passava e io li leggevo e glieli riportavo.
Nella sua stanzina dove dormiva, io ho buona memoria, aveva messo tutti quei giornalini di Mandrache e L’uomo mascherato attaccati alla parete con dei segnali che spiegavano i motivi per cui non bisognava leggerli. A quei tempi invece di studiare si leggeva i giornalini. Non c’era la televisione.


E.M.: Ricordi un episodio particolare di conflitto con don Milani?

G.T.: Una domenica mandato di forza dalla mamma, mentre don Lorenzo diceva la Messa, non riuscivo a stare fermo. Parlavo e facevo dispetti al mio vicino. Ero vivo. Quella volta si girò, in mezzo alla funzione, (ride) venne lì e mi cacciò via. Abbandonò l’altare e mi portò fino alla porta tenendomi per un orecchio.

E.M.: La musica, come l’insegnava?

G.T.: Sempre con i dischi. Ti spiegava le sinfonie di Beethoven. Chi l’aveva mai sentite quelle cose? Tu potevi aver ascoltato “ papaveri e papere”, negli anni ’50, lui ti spiegava la musica. Ah!, mi ricordo, ti spiegava l’armonia, il solfeggio addirittura! Comunque erano infarinature.
Ha fatto solo del bene a questa gente, anche se poi i suoi insegnamenti non li ha seguiti nessuno o in minima parte. Oggi trovi quello che dice: “Io ho frequentato la scuola di Don Milani, eccome!” Sembra abbiano fatto chissà quali grandi cose per gl’altri e invece è tutto l’opposto. Sguazzano nel lusso e son come quelli che dicono: “Ah, io ho fatto la Resistenza” e poi han messo su fabbriche, industrie che opprimono più dei nazisti.


E.M.: Te lo ricordi quando proiettava le note sul muro?

G.T.: Sì, me lo ricordo, col proiettore che srotolava un monte di diapositive e altre cose. Mi ricordo che ci spiegava la Palestina, i luoghi dove era nato Gesù. Ci dava una carta da colorare. La conservo ancora una carta della Palestina insieme al Vangelo che mi regalò.

E.M.: Che età avevi?

G.T.: 14 anni. Ero tra i più giovani.

E.M.: Te lo ricordi quando morì l’operaio in un incidente sul lavoro al cementificio “Marchino”?

G.T.: Si, fu una tragedia, perché vedi: ora muore uno e ce ne freghiamo altamente. Mi ci voglio mettere anch’io, ormai la televisione ci ha abituati alle morti. Allora, eravamo un popolo d’ottomila persone, ci si conosceva tutti. Ora è cambiato tutto, le regole e l’insegnamento. Dopo centinaia d’anni che si è seguito le stesse regole ora si sono sfasciate. Non esiste più la famiglia patriarcale e la morale di una volta che si basava sulla dignità e sul rispetto per i vecchi. Una volta c’era più tolleranza e si amava di più la natura. Comunque questa morte fu una tragedia, anche perché il morto aveva dei figlioli piccoli. La solidarietà del popolo e in prima persona di don Milani che andò a colare rena in Marina per costruire la casa alla vedova, veniva espressa in maniera tangibile. In quella occasione don Lorenzo si levò la tonaca per stare in calzoni corti e canottiera. Me lo ricordo bene con la pala in mano.

E.M.: Proprio in questi giorni ho messo delle immagini nel computer, dove si vede Don Lorenzo che va a prendere la rena nel fiume.

G.T.: Sì, sì. Io non ho partecipato a questa iniziativa, ma me lo ricordo bene, in Marina con la pala a caricare il barroccio. Allora si andava con il cavallo e c’era un barrocciaio che si chiamava Gori. Gliel’ha portata lui diversa rena. Ora è morto. Mentre don Lorenzo era lì accanto ai monti di rena arrivò un altro barrocciaio di soprannome Melecche che gli disse: “Cosa ci fai davanti a questi monti di rena di quel bischero del cappellano di San Donato?” Vestito com’era non l’aveva riconosciuto. Lavorava come manovale. Ricordo quando arrivava la sua mamma con la macchina e l’autista. Questo figliolo aveva abbandonato tutto e era venuto a Calenzano in questa parrocchia. Te l’ho detto, ebbe fortuna a trovare questo Don Pugi, un buontempone sempre col sigaro che lo giustificava dicendo: “Gl’è giovane, gl’è giovane”.
Ci apriva il cervello. Mi ricordo, aveva una venerazione per l’Eda e la sua mamma, Giulia. Erano brave donne e andaron con lui a Barbiana. L'Eda era sempre serena, gioviale. Era così. Però negli ultimi tempi la vedevo un po’ triste, abitava con quello che ora è in Provincia.


E.M.: Michele Gesualdi?

G.T.: Sì. La vedevo un po’ triste. Aveva perso questo sguardo luminoso, questa serenità che aveva quando stava insieme a Don Lorenzo su a Barbiana. Siccome passava sempre davanti a casa mia, vedevo la tristezza negli occhi di questa donna, forse sarà stata la vecchiaia, non s’è adattata bene, non lo so.

E.M.: Quando fu mandato a Barbiana come reagirono i ragazzi e in particolar modo la gente del popolo?

G.T.: I primi tempi andavano a trovarlo una volta alla settimana organizzando un servizio di pullman. Quando la gente gli faceva presente l’ingiustizia subita, lui metteva tutti a tacere perché lui accettava, in quanto prete, l’ordine dei superiori. Non si lamentava per niente. Una volta mi portaron in su, non so perché, forse aveva chiesto di me. Si diceva che moriva di fame che mangiasse una minestrina con l’acqua e un cantuccio di pane. Sono stato a cena da lui e quella volta c’erano polli arrosto e vassoi colmi d’affettato. Allora facevo dell’ironia: “Ma come, si dice che tu mangi pane e invece …”. Lo criticavo scherzosamente perché il mangiare era stato comprato dai suoi allievi di Calenzano. Alla scuola c’erano questi ragazzi di Barbiana che mi facevan non dico pena, ma vedevo che eran ragazzi che avevano sofferto, son molto tenero a queste cose. Lui mi fece delle domande sull’Unione Sovietica e io stravedevo su l’Unione Sovietica, su Stalin, e lui naturalmente non era tanto d’accordo. “Stupido” diceva: “dategli dello stupido”. Me lo ricordo questo fatto qui. Lo diceva a quei ragazzi tra l’ironico e il vero.

E.M.: Che anni erano?

G.T. : Poco dopo che andò lassù. Io non gliel’ho mai manifestata questa stima che gli mostro ora, però lo stimavo. Stalin per me era un Robin Hood moderno. Da ragazzo a quella maniera, questo uomo che aveva fatto la rivoluzione, che aveva combattuto la guerra contro i tedeschi e l’aveva vinta, era per noi un po’ il padre di tutti i proletari. Lui mi diceva: “Leggi troppo l’Unità”. Nella famosa lettera a Pipetta scrive: “Io ora son con te, ma una volta che sei al potere sarò contro di te” perché quando uno ha il potere cambia e crea dei danni.


E.M.: Senti Gianni, per tornare alla scuola, te hai detto che c’erano due tavoli, com’erano? A ferro di cavallo?

G.T.: No, non erano a ferro di cavallo. C’era due tavoli di lato e gli insegnanti stavano nel mezzo. Le due panche erano appoggiate al muro. Non so se ha cambiato aspetto nel tempo, io arrivai quando davan quel diploma equiparato alla scuola media di oggi. Poi smisi, non è che restassi un frequentatore assiduo, te l’ho detto, le mie idee erano un po’ diverse.

E.M.: La scuola è durata un anno scolastico?

G.M.: Sì, un anno scolastico. A volte, quando c’era una conferenza che mi interessava, andavo anche dopo. Di fatti lui si lamentava con la mia mamma perché non ci andavo spesso, e lei mi diceva: “C’è stato Don Lorenzo , ha detto che devi andar lassù!”, ma io: “No, i preti via!”

E.M.: Vivevi più il mondo della casa del popolo?

G: Sì.

E: Come le vedeva le Case del popolo Don Lorenzo Milani?

G.T.: Come le vedeva l’ha già scritto lui. Le case del popolo ora hanno perso ancora di più lo scopo per cui erano nate. Lui criticava molto, perchè le case del popolo dovevano avere la funzione che era riuscito a creare lui nella sua scuola, ma i responsabili se ne sbattevano. Facevano dei corsi di partito, di marxismo, si discuteva il Manifesto, è vero, però c’era un po’ troppo gioco, quello sì, aveva ragione. Però a trasformare il mondo in un monastero ti sfugge la situazione di mano.

E.M.: Ti sfugge la situazione di mano. Vuoi dire che tutti hanno vissuto l’opportunismo di avere più gente più che educare?

G.T.: Sì, c’era un’educazione un po’ schematica, un po’ dottrinale, era un’educazione di partito. Si parlava della lotta continua tra liberi e oppressori, tra schiavi e patrizi. Dall’Impero Romano al Medioevo. Dalla scoperta dell’America all’avvento del vapore, alla trasformazione di tutti i tipi di sfruttamento. Di questo si parlava alla casa del popolo. Ed eran le stesse cose che si studiavano sù alla scuola popolare, forse qualcuno se l’è scordate. Lui le diceva in maniera un po’ diversa perché era un sacerdote. Non si scordava di chi opprime, però. Non si scordava nemmeno di salvar l’anima a quello che era oppresso. Credeva in Dio perché, su un vangelino, mi fece una dedica con scritto (ride): “d’osservare il vangelo, d’insegnarlo agl’altri e un giorno, non so, d’incontrarsi in Paradiso”. In fondo tra marxismo e cristianesimo non c’è tanta differenza, c’è solo quest’anima, ma per il resto va bene. E' più facile che un cammello passi per la cruna d’un ago che un ricco vada in Paradiso. Sicchè, il suo, era un bombardamento spietato verso i ricchi, è giusto?
Comunque sì, ha lasciato il segno, grazie a pochi però. Avrei voluto fossero di più quelli che continuano la sua opera e invece ne conosco pochi.


E.M.: Perché hai ricordato la lettera a Pipetta?

G.T.: Sì, “ora son con te, ma poi quando tu vai al potere…”. Mi ricordo anche quando parla del Banci. Addirittura ti viene voglia di andare e dare fuoco a ogni cosa.
Ride.
Qui viene fuori la parte che mi piace di più, il compagno Che Guevara: “Vai e distruggilo, combattilo, Dio bono! Ti verrebbe da dire …


E.M.: Ti verebbe da dire?

G.T.: Sì, te l’ho detto. Però è frenato perché è un sacerdote. Però, è meglio queste cose l’abbia dette un sacerdote.

E.M.: Come mai questa scelta radicale della povertà?

G.T.: Ma scusa, se te credi nel cristianesimo a tal punto da diventar sacerdote, bisogna tu l’abbracci questa causa. A meno che tu non sia incoerente, siccome lui era una persona coerente in tutte le sue azioni. Viveva con niente, un San Francesco moderno. Il lusso, una volta diventato sacerdote, non sapeva nemmeno cos’era. Per sé cosa s'è concesso? Non s’è concesso niente.
Un giorno che era a Prato, incontra un povero. Aveva 50 lire e gliele diede. Tornò a piedi e poi dette l'ombrello a un altro. Queste cose qui son state dette anche dei santi, ma non sono importanti, importante è la coerenza avuta. Mi ricordo anche un'altra cosa. Quand’era malato di cancro rilasciò un’intervista a un giornalista di “Vie Nuove”, lo si vedeva nella foto su una seggiola, con lo scialle, sofferente e, 50 anni, fa diceva: “ Sono un sacerdote col cancro, ma lo sa quanti ne muore tutti i giorni per il male che ho io e non li considera nessuno?”. Fu bella anche questa risposta, cruda , dura per i ragazzi. Lo dovrei avere ancora il giornale con la foto.


E.M.: Sì, me lo ricordo anch’io.

G.T.: Lui parlava della sua malattia?

E.M.: Per lui era importante far capire al popolo di montagna che se uno è malato non si deve vergognare. Cosa diceva delle mode?

G.T.: Delle mode ha detto le cose che hanno detto altri uomini coerenti del mio partito. Quando si parla della sofferenza dell’uomo che senso ha parlare di cappellini, di giacchettine e di magliettine? Io sto parlando di coerenza e lui era un uomo coerente per davvero. Mi dispiace che di tutti i frequentatori, di cui uno sono io anche se avevo idee diverse, nessuno abbia ripercorso la sua strada. Eppure c’è chi, ricoprendo delle cariche, potrebbe fare molte, molte cose per il popolo. Potrebbero addirittura fare la vita che faceva lui, che viveva nella miseria. Dato che lui li aveva conosciuti nelle miseria e li aveva portati fuori da questa miseria, ora che hanno acquistato un certo benessere grazie alla figura di quest’uomo, se ne dovrebbero ricordare. Se hanno una casa, non me dovrebbero aver due. Ne tengano una per sé e quell’altra la diano a qualcuno che ne ha bisogno. Siamo tutti un po’ egoisti verso i soldi, lui non lo era. Il succo è tutto qui. Io sì, ero povero anch’io, ma quelli mi sembravano più poveri di me, stavano su una montagna, venivano dal collegio. Se avevan vissuto in luoghi d’abbrutimento, nell’idiotismo della vita, lontano da tutti, non era colpa loro. Allora se questa persona ha fatto tanto, l’ha fatto perché voleva che i suoi insegnamenti venissero trasmessi ad altri e voleva che questa gente diventasse, non dico come lui, ma si ricordassero un po’. Purtroppo è molto meglio vivere nel lusso e andare a parlare di povertà agli altri. Dicono: “Stasera si va a fare una conferenza si parla della figura di Don Milani”. Sono come quelli che dicano d’aver fatto la Resistenza e con la Resistenza non c'entran nulla, non han sofferto nulla e addirittura vorrebbero la medaglia.
Ci diceva che per combattere il consumismo, me lo ricordo bene prima viene le cose più importanti e poi le cose non necessarie, un paio di scarpe ti deve durare sei mesi. In questi sei mesi non puoi cambiare quattro paia di scarpe! Perché è un controsenso, uno sperpero. E’ inutile che tu parli, te l’ho detto, di cappellini, di magliettine o di cosine. Facendo così ti leghi sempre più al capitalismo, sei costretto sempre a dir di sì per pagare le cose superflue. Se c’è uno sciopero molti dicono: “Ma come faccio che ho da cambiare il motorino oppure la macchina”. Il consumismo ti lega, ti spersonalizza e ti leva l’anima. T’addormenta la coscienza e ti porta fuori dalla realtà. Purtroppo ora siamo in pieno consumismo, la gente si prostituisce in una maniera … . Prima c’era povertà, ma era povertà vissuta con dignità, anche se mangiavi zuppa di cavolo o un piatto di fagioli, per mobilia in casa c’erano le tavole con lo spacco, vedevi la muffa alle pareti, ma era una vita pulita e vissuta con grande dignità. Ora dov’è finita? Il proletariato non è più schiavo ribelle, ma servo dorato. Siamo in pieno sviluppo consumistico, il capitalismo domina tutto il mondo: lo vedi ora col G8, non c’è più nulla da fare… .


E.M.: Come scindere la figura del prete dal maestro?

G.T.: Mah, io non la scindo per niente. Un prete dev’essere un maestro. Come fai a scindere la figura del prete dal maestro. Cristo, parlava del Padre nei cieli, ma parlava anche contro i ricchi, contro quelli che avvelenavano la vita dei poveretti, li metteva alla gogna. Don Lorenzo Milani era una persona coerente, era un prete. Se un prete non si comporta come lui, non è una persona coerente. E' piuttosto un banchiere, un geometra, un architetto, uno che ha sbagliato!


E.M.: Ricordo che il Priore diceva: “tutto è politica”, mentre oggi tutti tendono a dire: “mettiamo da parte la politica”

G.T.: Scusa, la politica cos’è? La politica è la vita. Politica significa parlare della vita, come fai a dire non parliamo di politica, allora non si parla di nulla. Lo stato, cos’è? Potere esecutivo, legislativo e giuridico, no?, ma chi gliel’ha dati questi poteri è il popolo, con il voto. Come fai a parlare di questa tavola senza sapere chi l’ha fatta, quant’è costata, se gl’operai che l’hanno fatta erano assicurati? Insomma, se non parli di politica stai zitto! “Non parliamo di politica!”, ma chi lo dice questo? Lo dice chi vuole mantenere i propri privilegi e sfruttare, fare i suoi porcacci comodi, chi non vuole aprire le menti degli altri. Invece Don Lorenzo Milani apriva le menti e ti metteva di fronte a questi pericoli. Purtroppo i suoi insegnamenti son stati come quelli di molti del mio partito: son cascati nell’acqua. Che vuoi fare? Tradimento completo verso gente che ha fatto 15-20 anni di galera, penso a Gramsci. Questi che ci sono ora ti dicono che si vergognano di esser stati comunisti. Veltroni e D’Alema, uomini che devono tutto al partito, sono come quelli che seguivano Don Milani, dimenticando l'applicabilità delle sue idee. C'è ancora chi dice: “Io ero un ragazzo di Don Milani!” Va bene, ma vediamo cos’hai fatto. T’hai il motoscafo, due o tre case e sei un ragazzo di Don Milani? E’ giusto? Dimmelo te.

E.M.: Forse l’ha capito di più chi è geograficamente lontano, Barbiana è ormai nel terzo o quarto mondo.

G.T.: Purtroppo è difficile comportarsi come s’è comportato questo prete, come s’è comportato Gramsci, come si comportò Terracini e Che Guevara. Non tutti siamo così, però ci vorrebbe un po’ più pudore. Non puoi venirmi a parlare di don Lorenzo e poi hai una fabbrica. Sfrutti e sei sempre a parlare del Milani, conferenze a destra a sinistra e poi, magari, hai quattro milioni di pensione al mese. Ti cito il Macchiavelli: "L’uomo dimentica prima la morte del proprio padre che la perdita del proprio patrimonio".