Tratte dal Libro “Progetto Lorenzo”, edito a cura del Centro Don Milani e scuola di Barbiana , le due lettere appresso riportate fanno parte d’un carteggio tenuto da Lorenzo Milani coi parenti d’oltre oceano. In questo particolare caso si tratta del cugino Carlo, figlio dello zio Ottocar.

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L.51/47
S. Donato - Calenzano 26 Dic. ‘47
(Lorenzo è cappellano di S. Donato da 2 mesi e mezzo)

Caro Carlo,
mi scuserai il ritardo nel risponderti, ma non ho mai un momento libero e poi per mandarti una aerea mi va esattamente quel che guadagno in una giornata. Così ho risposto a tuo padre, poi ho aspettato di aver ristabilito il bilancio!!! e ora rispondo a te. Se te l’avevo mandata per mare a quest’ora l’avevi avuta, ma insomma mi scuserai. Grazie di cuore a te della pronta risposta al mio S.O.S. Credo che saprai che tuo padre stesso mi ha mandato senz’altro i soldi. E’ stato un gesto incredibilmente caro e tanto più significativo quanto meno siete all’interno della Chiesa che aiutate. Oltre alla gioia di aver sistemato il mio Franco II, m’ha fatto anche tanto piacere sentirti parlare così della Chiesa. Ma credo che tu di così lontano sopravaluti il pericolo comunista. L’ateismo e il crollo dei valori spirituali, come dici te, non vengono mica dal comunismo. Il comunismo in questa determinata forma non ne è che un’incidentale conseguenza. Perché il crollo c’era già da tempo e prodotto da chissà quante cause, ben più antiche e profonde. Mi dispiace che tu non sia venuto a studiare in Italia. Sono sicuro che ti saresti avvicinato a tante grandi idee nuove che nascono e che in America non possono nascere. Per noi l’America non è più il “Nuovo Mondo”, ma il Vecchio quello che sta morendo, mentre da quest’altra parte non ci sarà ancora il mondo nuovo che nasce, ma certo siamo in quella direzione. Anche ai tempi delle invasioni barbariche sembrava la fine. Venivano giù col loro cumulo di errori: paganesimo, barbarie, arrettratezza in tante cose, distrussero l’Impero Romano che sembrava il baluardo della civiltà... sembrava il sostegno assolutamente necessario alla Chiesa e invece è caduto quel che aveva da cadere, è restato quel poco che aveva da rimanere è nato un mondo nuovo e mille volte più bello: Il Medioevo (anche a pensare solo all’arte, che era il mio mestiere, pensa l’arte gotica, altissima, forse la più alta).
Così oggi vengono giù dei barbari e travolgeranno certo mille belle cose e istituzioni cui eravamo attaccati. Perseguiteranno certo anche la Chiesa e i preti (ma se fosse bene? forse è, forse ce n’è bisogno).
Porteranno peggio che il paganesimo: l’ateismo (ma di fronte a certi modi di essere religiosi che c’è nel nostro mondo è meglio l’ateismo, almeno è più schietto e più coerente. Porteranno un sistema economico che sicuramente non arricchirà, ma impoverirà l’Europa e quei proletari che voleva aiutare. (Ma non è meglio morir di fame in un mondo nuovo e anelante a una nuova giustizia, più larga, più universale, senza barriere di classe, di nazione ecc., piuttosto che ingrassare in un mondo che sta per morire?).
Capisci? Noi non possiamo essere comunisti, ma neanche possiamo guardare al comunismo come a un nemico da combattere o distruggere, tutt’altro, caso mai è un mondo da cristianizzare. S. Gregorio Magno non è mica che fosse paganeggiante quando mandò da Roma i suoi monaci a aprire le braccia della Chiesa ai barbari perché il clero brettone si rifiutava di evangelizzarli.
Anche ai tempi di Geremia era lo stesso (prova a rileggerlo). Anche allora la sconfitta, la distruzione del Tempio, l’esilio, la disperazione sembravano la fine e invece Geremia vedeva che erano il principio d’una religione nuova e più vera perchè più interiore, quella che pochi secoli dopo fu matura e degna di ricevere il Cristo e di portarlo a tutto il mondo.
A combattere il comunismo mi parrebbe di oppormi alla storia, il che è come ribellarsi a Dio, perché è lui che la disegna. Ma con questo non sono comunista, come Geremia non era sincretista e San Gregorio non era paganeggiante. Sono solo uno che aspetta. Aspetto che faccia Dio, che disegni Dio. Attento a vedere se per caso il suo disegno piega verso sinistra p.es. per essere pronto a buttarmi con lui, a aiutarlo a incarnarsi anche lì come ha saputo incarnarsi in tutte le civiltà, nazioni, tempi, lingue, climi, ordinamenti.
Babilonesi, Germani, Bolscevichi
, tre feroci distruttori di tre grandi civiltà, a prima vista sembravano le forze del male scatenate dal Nemico per distruggere la Città di Dio e invece a guardarli bene non son stati che l’adorabile lungimirante liberatore dito di Dio.
Caro Carlo, io me ne intendo poco, ho vissuto poco, ho studiato poco, so poca storia, ma mi pare che stiamo vivendo un momento grave un colossale parto e mi pare che questo parto avvenga da queste parti e quindi ti consiglio di fare come dice che facciano i topi lascia (per quanto piena di viveri) la nave che sta per affondare, fuori ci sarà la tempesta magari, ma meglio la tempesta che trovarsi sepelliti vivi colla nave. Io l’ho lasciata e mi ci son trovato bene. Ti prometto un posto da maestro in uno degli orfanotrofi di don Facibeni. In un primo tempo più per essere educato che per educare, poi potrai fare anche tanto bene e ce n’è tanto bisogno. Cura garantita. I primi effetti dopo una settimana, cura completa in un anno. Senza stipendio naturalmente altro che il vitto e vitto da orfanotrofio! Vedrai come ci si allarga la mente e il cuore. Fra i miei figli ne ho uno di otto anni con una orribile cicatrice sulla fronte. E’ una coltellata che gli ha tirato il suo babbo! Se sa che te non mangi più di lui, non hai famiglia più di lui o almeno non l’avevi, ti si attacca a una mano e seguita a carezzartela per due ore senza chiederti altro o piuttosto è lui che ti fa scivolare in tasca un pezzetto minuscolo di torrone ricevuto per Natale tutto sudicio e ciucciato. Ecc. Ecc.
Dirai che sono scemo a far di queste proposte. E avrai anche ragione, ma siccome ti sono grato di quello che hai fatto per me e per il mio Franco siccome mi hai mostrato tanta paura del comunismo e attaccamento alla civiltà passata e siccome ero anche vergognosamente in ritardo colla risposta, così ho pensato di mandarti qualcosa in regalo in segno d’affetto e di stima e cioè delle idee nuove e questa bella proposta.
Fanne il conto che vuoi e non fare ti prego come di quell’altra di mandarla a tuo padre. Le lettere si mettono nelle buste per significare che sono private!!! (Certo io non mi posso lamentare perché l’effetto è stato meraviglioso) Beh ora ti lascio e ti abbraccio rispondimi cosa pensi e abbimi per amico

tuo Lorenzo


L. 29/50
S. Donato - Calenzano 30.10.50

Caro Carlo,
peccato non aver potuto parlare un po’. Avrei tanta curiosità di sapere cosa pensi. Non so neanche se devo parlarti come a un americano o come a un adulto! Ma se, come dici, speri di restare in Italia vuol dire che hai sentito il puzzo di civiltà profonda che sorte dalla nostra terra di beceri e di santi. M’hai detto anche che studi la D.C. . Spero che non la prenderai sul serio. E specialmente che tu non cada nella tentazione di considerarla un’emanazione del cristianesimo. Dio te ne guardi. La saggezza umana di rimandare la giustizia a più tardi colla scusa che oggi è imprudenza è ben più profondamente atea che lo sbuzzar preti e profanar chiese. Speriamo che Dio riesca a perdonarli. Il nostro comune nonno Geremia non li avrebbe perdonati di certo. E neanch’io. Quando penso ai poveri traditi e traditi in nome di Cristo o in nome della libertà che per loro poveri è proprio la catena più dura! (Tra il forte e il debole, tra il ricco e il povero, tra il padrone e il servitore è la libertà che opprime, è la legge che affranca.) “Lacordaire 1848”. Insomma ora basta se no non mi rispondi! Eccoti l’articolino che ti promisi.Leggilo e scrivimine qualcosa. Ti ripeto che ho proprio curiosità di sapere come è fatto il pensiero d’un reduce dall’America. Se poi torni a trovarmi mi farai sempre un grandissimo piacere.

Un abbraccio affettuoso dal tuo Lorenzo.

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Note a margine:

a - GEREMIA

Figlio di Chelkia, uno dei sacerdoti che dimoravano in Anatot, nel territorio di Beniamino. A lui fu rivolta la parola del Signore al tempo di Giosia figlio di Amon, re di Giuda, l’anno decimoterzo del suo regno, e quindi anche al tempo Ioiakim figlio di Giosia, re di Giuda, fino alla fine dell’anno undecimo di Sedecia figlio di Giosia, re di Giuda, cioè fino alla deportazione di Gerusalemme avvenuta nel quinto mese.

Geremia era discendente di Ebiatar, relegato da Salomone (1 Re 2,20) nel piccolo villaggio Levitico dell’odierna Anata.
Profeta del periodo più oscuro della storia degli Ebrei. Il periodo nel quale operò, dal 626 al 587 a.C., fu uno dei più luttuosi, poiché vide la definitiva conquista da parte di Babilonia della Palestina tutta e la distruzione del Regno di Giuda, ch’era sopravvissuto per poco più d’un secolo alla rovina del regno d’Israele ad opera degli Assiri (721 a.C.).

La riforma di Giosia (622 a.C.) frenò per un po’ la decadenza.
Nel 605 Nabucodonosor diviene padrone incontrastato del vicino Oriente.
Nel 598 Gerusalemme viene presa una prima volta e subisce la prima deportazione di ebrei in Babilonia.
Lo stato di Giuda è preda d’un processo di decomposizione morale, civile e religioso che viene ben evidenziato da Geremia nelle sue invettive e nelle sue denuncie.
Nel 587 Gerusalemme viene rasa al suolo, la sua popolazione decimata e deportata in massa. La profonda crisi del suo popolo spinge Geremia a predicare ancor più violentemente.
V’è nel profeta un atteggiamento pieno di contraddizioni apparenti. Un misto di rabbiosa violenza e di profonda misericordia, ben espresso nelle parole della vocazione e della scelta (Ger. 1,10): “Ecco, oggi io ti costituisco sopra i popoli e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare”.

La coscienza del male che rode il suo popolo gli è quanto mai ben chiara.
La contaminazione del vecchio culto l’ha ormai snaturato. Dopotutto è divenuto solo la ripetizione pedante e inconscia d’una ritualità svuotata d’ogni più profondo senso interiore. I costumi permissivi dei popoli vicini, sono largamente scimmiottati, al punto che nuovi templi a dei pagani vengono aperti in Giudea e nella stessa Gerusalemme. I sacerdoti dei nuovi riti sono ormai nell’atrio del tempio e la fanno da padroni. Si giunge persino al sacrificio di bambini. Il disprezzo del Dio dell’Alleanza, la sopravvalutazione delle mode e degli stili stranieri spiegano poi le conseguenze immediate e palpabili d’una corruzione dei costumi e d’un lassismo rovinoso della morale e delle coscienze. Ecco allora gli omicidi, gli adulteri, le sopraffazioni e l’ingiustizia impunita elevata a sistema nella mano dei prepotenti. Le radici della prevaricazione e del decadimento affondano sin nei meandri del cuore degli uomini e del popolo. Il senso del dovere e della lealtà vengono irrisi e demoliti, la sacralità della virtù messa in discussione, il rispetto della saggezza scambiato per ottusa pedanteria e pericolosa antimodernità.
Geremia non arretra d’un millimetro: accusa e denuncia chiunque traligni: il re, la corte, i magistrati, i notabili, gli stessi sacerdoti e i falsi profeti che van per la maggiore.
Con l’eccezione del re Giosia che tenterà di recuperare il popolo a più sobri costumi e la società a un maggior rispetto degli antichi valori (622 a.C.), Geremia si scaglierà contro tutti quelli che gli succederanno sul trono. Supplicherà, minaccerà, metterà a nudo le coscienze, ma non potrà fare un gran ché.
Sotto Ioiakim Gerusalemme verrà presa, saccheggiata e subirà la prima deportazione di massa (598 a.C).
Anarchia e scoraggiamento si diffusero in tutto il regno, ora retto da Sedecia, il quale non ebbe né la forza né la volontà d’opporsi alla catastrofe incombente.

Ma è proprio in questo momento, il più nero e il più tormentato, proprio mentre tutto pare sprofondare in una rovina senza fine, che si leva la voce di Geremia. Egli osa annunciare le più radiose visioni di un avvenire di novità e di rinnovamento.
Nella propria sofferenza e nella tenerezza per i suoi, Geremia capisce e sente che l’Amore e il Disegno di Dio non conoscono ripensamenti. Il peccato è ormai insanabile, ma c’è ancora la forza del Perdono e la luce della Resurrezione, grandi opere dello Spirito e della Grazia divini.

Sulle rovine dell’Antica Alleanza, Geremia scorge le fondamenta d’una Nuova, assai più bella, forte e luminosa. (31,31-34)
Non sarà più possibile conoscere Dio eseguendone semplicemente le Leggi esteriori.
Dovremo invece assecondare la spinta interiore dello Spirito, scoprire quella comunione profonda col Signore che può aprirci al suo Disegno. L’incorruttibile fedeltà alla propria vocazione diventa un esempio dell’atteggiamento che ogni uomo dovrebbe rispettare nel seguire e assecondare il Disegno divino.


Sotto Sedecia avverranno la rovina definitiva e la grande deportazione.
Il profeta sarà talmente sicuro del ritorno e del rinnovamento, nonostante sia prigioniero di Sedecia in una Gerusalemme sotto assedio e ormai allo stremo, che acquisterà il campo di Canamel figlio di Sallum. “Poiché dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele: Ancora si compreranno case, campi e vigne in questo paese”(32,15).

Altre gravi vicende avverranno e il suo stesso popolo, in Egitto, dove si rifugerà, lo assassinerà, lapidandolo. Non era la prima volta, comunque, che s’era tentato in Giudea di spegnerne definitivamente la voce.

Ma il profeta, per eccellenza, della vita interiore si rivela chiaramente (9,24) dicendo: “Ecco, i giorni verranno - oracolo del Signore - nei quali punirò tutti i circoncisi che rimangono non circoncisi.....perché sono incirconcisi nel cuore”.

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b- SAN GREGORIO I MAGNO

Gregorio I, detto Magno, Santo. Pontefice dal 590 al 604, nacque nel 540 a Roma.
Discendente dalla famiglia patrizia degli Anici, partecipò, in gioventù, alla vita amministrativa della città di Roma divenendone Prefetto (572, con nomina dell’Imperatore Giustino II).
Lo squallore politico di Roma lo disgustò, troncò la carriera e si fece monaco benedettino (“Colui che era solito percorrere in vesti di seta ingemmate le vie della città, prese la tonaca e consacrò se stesso al servizio del Signore”...Gregorio di Tours). Impiegò energie e tutto il proprio danaro per fondare conventi.
Notato da Pelagio II, fu consacrato diacono.
Dopo poco fu inviato a Costantinopoli per chiedere aiuti all’imperatore. Vi si recò come apocrisario nel 579 e vi rimase fino al 586 (“Bisanzio fu per lui scuola di politica e di lotte teologiche. Il pallido monaco latino, in mezzo al lusso della corte bizantina, appariva strano rappresentante d’una civiltà e d’una fede che a Costantinopoli non esercitavano più alcun potente fascino”...Saba). Grazie ai suoi insistenti uffizii, Bisanzio inviò un Dux e un Magister militum che liberarono Roma dall’assedio longobardo. Ma, purtroppo, per pochissimo tempo. L’assedio riprese. Fu allora richiamato a Roma. Era chiaro che l’imperatore non poteva o non voleva fare di più.
In Italia i Longobardi saccheggiavano ed uccidevano le popolazioni italiche. Una serie di gravi flagelli metereologici s’accanirono sulla penisola nell’anno 589, distruggendo quanto ancora non predato, decimando la popolazione e gli armenti. A causa di ciò scoppiò una pestilenza di vaste proporzioni. Pelagio II ne morì nel febbraio del 590. Gregorio era già da tempo tornato alla vita monastica.
Fu sgradita sopresa, per lui, trovarsi creato Pontefice all’unanimità. Per sua propria scelta era più propenso a vivere fra gli umili e ad operare fra gli oppressi e i derelitti. Pertanto, dapprima non accettò. La conferma imperiale non riuscì a smuovere la sua riottosità ad ascendere al soglio di Pietro. Si narra che tale conferma giunse a Roma il giorno della fine della grande pestilenza, allorquando al termine d’una solenne processione apparve sulla sommità del Mausoleo di Adriano, un angelo armato nell’atto di riporre la spada fiammeggiante nel fodero. Da qui in poi il mausoleo cangiò l’antico nome in Castel S.Angelo.
Gregorio riluttante, dovette comunque accettare l’incarico e, autonominatosi Servus Servorum Dei, come da allora in poi si proclameranno tutti i pontefici, cominciò col “ripulire” la corrotta curia romana da laici e da diaconi che commettevano simonia senza ritegno. Li sostituì con monaci benedettini umili, obbedienti e affidabili nell’amministrazione della Chiesa, saldi nella fede e nella purezza della loro carità. Procedette poi al recupero sociale e civile della città che ancora viveva sotto assedio. Nell’assenza d’ogni autorità ed aiuto da parte dell’impero di Bisanzio e dell’Esarca, suo rappresentante, egli trattò con Agilulfo giunto sin sotto le porte di Roma (593) e lo indusse a risparmiare la città, riconoscendo ai Longobardi una somma annuale di cinquecento libbre d’oro a garanzia dell’armistizio.
A Bisanzio si mormorò al cedimento e al tradimento. Ecco una lettera di Gregorio all’imperatrice Costanza: “Sono ormai 27 anni che viviamo in questa città circondati dai Longobardi. Non è qui il caso d’elencare le somme di danaro che quotidianamente la Chiesa ha dovuto pagare perché fosse concesso ai Romani di poter vivere. In parole povere basti dire che i piissimi imperatori hanno in Ravenna, presso il primo esercito d’Italia, il loro Sacellario che provvede alle spese necessarie ogni giorno; qui a Roma il loro Sacellario sono io! E senza contare che questa Chiesa deve anche sostenere chierici, monasteri, poveri e popolo”. Eccolo dunque farsi carico della grave situazione politico sociale dei latini, egualmente angariati e schiacciati dall’amministrazione imperiale e dai soprusi e dalle violenze dei nuovi barbari.
Accusato dall’Imperatore Maurizio d’incapacità diplomatica, riuscirà a concludere nel 598 una pace duratura coi Longobardi non senza aver associato in quest’opera il nuovo Esarca Callinico, che ben si rendeva conto del fatto che “non si poteva fermare lo sviluppo e l’evoluzione della situazione che spingeva Roma e l’Italia a rendersi vieppiù indipendenti, quando, abbandonate dall’Imperatore nel momento della più impellente necessità e sprovviste di mezzi sufficienti alle proprie esigenze, dovevano osare il passo importante sotto la guida di Gregorio” (Seppelt).
Il vescovo di Roma, spinto dalla necessità si trovò quindi a dover assolvere compiti infinitamente più grandi e gravosi, risolvendo problemi economici e politici che lo porranno alla guida dei latini prima e di tutti i cristiani ai quattro angoli del mondo conosciuto. Secondo uno spirito tutto evangelico, guiderà le sorti d’Italia, trasformando la Chiesa in un immenso asilo. Darà fondo ai beni ecclesiastici per sfamare e soccorrere i derelitti e i bisognosi, senza alcuna contropartita.
Ma la sua opera non si limitò ai Cristiani: protesse i Giudei, rinnovando antichi privilegi dell’epoca Augustea e Giulio-Claudia e difendendoli dagli eccessi e dalle angherie dei fanatici. Non solo rivolse lo sguardo ai fratelli più grandi ma si rivolse altresì ai Pagani e agli Animisti incoraggiando la regina Teodolinda nell’opera di conversione dei Longobardi e inviando il monaco Agostino, quale suo plenipotenziario, ad evangelizzare l’Inghilterra. Uguale pacifica opera di proselitismo svolse nelle Gallie e nelle Iberie.
Fu, altresì rigido e sobrio regolatore della vita disciplinare della Chiesa, potenziando l’istituto episcopale a cui subordinò, per meglio coordinarlo ed utilizzarlo, lo stesso monachesimo.
In campo liturgico, non meno che nell’artistico, rimase famoso per le particolari cure rivolte alla musica e alla elevazione culturale, in generale. I Canti Gregoriani datano dal suo pontificato ed ancora accompagnano le messe solenni in ogni parte del mondo conosciuto, in un afflato di fraterna parificazione ed unificazione delle genti. Notoriamente raccolse una serie di preghiere che presero il nome di Sacramentarium Gregorianum. Nel campo letterario resta famoso per i Dialoghi, per i Moralium Libri e, soprattutto per la Regula Pastoralis, manuale del perfetto vescovo.
Dirà Bonanno che Gregorio desiderava fortemente “un’Europa compatta ed unita nella fede e nella legge, nella libertà e nel rispetto della coscienza e della persona umana”.

Di Gregorio ci resta un consiglio prezioso: “Il vero pastore delle anime è puro nel suo pensiero, intemerato nell’agire, sapiente nel silenzio, utile nella parola; s’avvicina ad ognuno con carità e compassione; sopra a tutti s’innalza per il suo rapporto con Dio; con umiltà s’associa a coloro che operano il bene, ma si leva con zelo di giustizia contro i vizi dei peccatori; nelle occupazioni esteriori non trascura la sollecitudine delle cose dell’anima, non abbandona la cura dei negozi esterni”.
Gregorius I, Servus servorum Dei.

Morì a Roma.
Era il 12 marzo 604.
Fu sepolto in San Pietro.
Sulla lapide fu scolpito: Consul Dei.

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c – LACORDAIRE, JEAN-BAPTISTE-HENRI.

Lacordaire nacque nel 1802 a Recey-sur-Ource, Côte d’Or.

Fu uno dei massimi esponenti della rivolta cattolica contro lo scetticismo voltairiano e il socialismo idealistico del Saint-Simon.
Religioso francese, fu ordinato sacerdote nel 1827 e subito si rivelò fautore d’uno stretto rapporto fra cattolicesimo e mondo moderno.
Nel 1830 fondò, assieme a Lamennais e Montalembert, “L’Avenir”, giornale di dibattito e d’impegno militante sui grandi temi della libertà nel mondo contemporaneo.
Propugnò con essi la rinuncia del clero agli stipendi governativi in cambio d’una reale indipendenza dal potere politico, s’oppose alla nomina regia dei vescovi e reclamò la separazione fra stato e Chiesa.

Sempre più marcatamente, la prospettiva cattolico-liberale assunse coloriture teocratiche. Le “libertà moderne” correvano il rischio di diventare strumenti per la conquista della società alla Chiesa, attraverso l’alleanza, non più con i governi, ma con i popoli.
Secondo questa concezione la Chiesa assume la guida della società civile per trasformarla in società cristiana.


Il papa, Gregorio XVI, corse ai ripari per non veder minacciato il sistema dei Concordati e per evitare una maggior confusione fra i credenti. Condannò pertanto questa posizione, causando lo scioglimento del gruppo cui Lacordaire partecipava. (Enciclica ‘Mirari Vos’ del 1832).
Lacordaire si sottomise e intraprese un corso di Conferenze che attrasse intellettuali d’ogni tendenza ed estrazione, sostenendo un liberalismo spiritualista che gli valse amicizie e rispetto fra le varie correnti filosofiche dell’epoca. Soggiornò a Roma per quattro anni e, tornato in patria, entrò nell’ordine domenicano (1839) divenendo famoso fra il popolo per le sue predicazioni in Notre-Dame. Contribuì personalmente a far riconoscere gli ordini religiosi soppressi con la Rivoluzione del 1789.
Nel 1848, sostenitore della rivoluzione, fu eletto deputato di Marsiglia alla Costituente, incarico al quale, però, rinunciò poco dopo.

Morì a Sorèze nel Tarn, in un meriggio di sole, nel 1861, mentre sedeva sereno su una pietra del giardino del convento.

Gli scritti di Lacordaire sono importanti non solo come testimonianza d’un itinerario spirituale di notevole profondità, ma anche come documenti circa il rapporto fra cattolicesimo e mondo moderno nella prima metà dell’Ottocento.
Il suo scritto più famoso è “Conferenze di Notre-Dame” (1833-1851), anche se notevole appare ancor oggi “Considerazioni sul sistema filosofico di Lamennais”.


N.B.:
a) Dopo la condanna papale, Lamennais proseguì secondo un percorso ancora più radicale, vagheggiando un cristianesimo democratico, indirizzato al sociale e spogliato della sua dimensione soprannaturale. (Eletto deputato nel ‘48, si dedicò alla politica fino all’ascesa di Napoleone III. Influenzò Capponi, Lambruschini, Ricasoli e Mazzini).
b) Ordine Domenicano. Fondato dallo spagnolo Domenico di Guzmán per contrastare l’eresia degli albigiesi nel sud della Francia, fu riconosciuto da Onorio III nel 1216.
Fu da allora denominato O.P., Ordine dei Predicatori.
Fu ad esso affidata la gestione dell’Inquisizione ‘contra ereticos’ e già dal Generalato di Giordano di Sassonia (1222-1237) i domenicani ottennero una cattedra di Teologia all’Università di Parigi.
Dal XIV secolo, avendo ottenuto cattedre in molteplici università del mondo cristiano, giunsero a gestire la carica di ‘Maestro del Gran Palazzo’, cioè di consulente teologico del Papa.
Tra i domenicani più famosi s’annoverano Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, primi maestri occidentali a riconoscere l’importanza della filosofia greca classica e la sua conciliabilità con il pensiero cristiano. Vi sono poi figure quali Meister Eckhart, Giovanni Taulero, Enrico Suso e lo stesso Savonarola.

Per assolvere i doveri della predicazione, l’ordine si autoimpose un estremo rigore scientifico e culturale, attribuendo importanza primaria allo Studio e all’elevazione della coscienza cognitiva.

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Da ‘Progetto Lorenzo’, da pag. 275 a pag. 284.