Opere-Scuola di Barbiana

I care


Comunicato cappelli militari Toscana
Lettera ai capellani militari
Lettera ai giudici Obbedienza_



Introduzione

    Un gruppetto di cappellani militari in congedo vota un ordine del giorno in cui dichiara di considerare: “un insulto alla Patria e ai suoi Caduti la cosiddetta obiezione di coscienza, che, estranea al comandamento cristiano dell'amore, è espressione di viltà". L'ordine del giorno fu pubblicato dal quotidiano "La Nazione" nella cronaca di Firenze. La domenica successiva fu portato a Barbiana da due allievi della Scuola Popolare di San Donato, Ferrero Facchini e Teopisto Bonari. Con loro c’era anche il professor Agostino Ammannati. La lettura dell’articolo aprì una lunga e accesa discussione. Era ancora frizzante la ferita, dopo la risposta di Florit alla "Lettera ai sacerdoti della diocesi fiorentina", scritta con don Bruno Borghi, amico e compagno di seminario. In tale occasione i due sacerdoti si erano schierati al fianco di padre Balducci, denunciato per vilipendio alla religione, per aver definito la Chiesa "corpo di peccatori" e per aver accennato a Pio XII, in modo da avallare la ben nota tesi della sua inerzia dinanzi ai crimini bellici nazisti. Infine, fu processato per apologia di reato, per aver difeso l'obiettore di coscienza Giuseppe Gozzini nel '63. Purtroppo, la Chiesa fiorentina era ancora contraria all'obiezione di coscienza. Il Priore scrive "di getto" la lettera ai Cappellani militari. 
   Leggendo il testo comprendiamo che, per lui, l'obiezione di coscienza è solo uno spunto per aprire un discorso molto più ampio sulla disobbedienza. Un'occasione per rileggere la Storia, con i suoi ragazzi, introducendo il punto di vista del perdente. Sotto forma di volantino il documento viene dato alla stampa. Riprodotto solo parzialmente da alcuni giornali, fu, grazie al settimanale comunista "Rinascita", pubblicato per intero.

   L'opinione pubblica reagisce violentissima, sia quando è a favore che quando è contraria. Ma proprio quando il Parlamento stava per legiferare un riconoscimento all'obiezione di coscienza, a Barbiana arrivano decine di lettere anonime, firmate con la svastica o col fascio oppure piene d'insulti, oscenità e minacce. Tutte le forze conservatrici (liberali, fasciste e religiose) si erano compattate contro Don Milani. Finalmente un gruppo di ex combattenti lo denuncia al procuratore della Repubblica di Firenze. Il documento è incriminato e l’autore inviato a giudizio.

   Comincia la lunga e operosa ricerca, riflettendo con l’intero popolo di Barbiana, attraverso la lettura collettiva di libri e i documenti storici, frugando anche negli archivi di stato, per ricostruire con testimonianze una verità dimenticata o nascosta. Scrive, insieme a noi ragazzi, la sua "Autodifesa", un documento che si dipana coinvolgendo, con il metodo "umile" della scrittura collettiva, anche i numerosi visitatori e amici della nostra scuola.

   La "Lettera ai cappellani" e la "Lettera ai giudici" non sono solo una difesa dell'obiezione di coscienza o una condanna dei vertici dell'esercito italiano, ma una lezione impartita agli allievi su una giusta interpretazione del concetto di libertà e obbedienza.

   Quando Aldo Capitini gli propone di organizzare, durante il processo, una manifestazione di non violenti davanti al tribunale, lui evita il rischio di disturbi diseducativi: "Le sarò molto grato se si adoprerà per impedire qualsiasi manifestazione prima del processo (per es. manifestazioni, sedute, cartelli ecc.) riservando invece tutte le vostre forze per dopo la sentenza. Sono il primo io a desiderare la massima pubblicità del processo e della mia lettera al presidente, ma vorrei organizzare le cose in modo che il baccano si scatenasse un minuto dopo la sentenza. Mi pare che questo sia un dovere verso il tribunale e il miglior modo d'educare la gente a un serio dibattito di idee". Vuole essere "isolato" dall'opinione pubblica "colta", anche quella di sinistra e lo dice poco prima del processo al suo avvocato: "Ci ho messo ventidue anni, per uscire dalla classe sociale che scrive e legge "L'Espresso" e "Il Mondo". Non devo farmene ricatturare nemmeno per un giorno solo. Devono snobbarmi, dire che sono ingenuo e demagogo, non onorarmi come uno di loro. Perché di loro non sono. Io da diciotto anni in qua non ho più letto un libro né un giornale se non ad alta voce con dei piccoli uditori. Nella chiesuola dell'élite intellettuale tutti hanno letto tutto e quel che non han letto fingono d'averlo letto". Questo isolamento, voluto e addirittura organizzato, gli consentirà di individuare le insolvenze storiche e culturali di tutti gli schieramenti politici e essere, educativamente, oggettivo: “È per motivi procedurali cioè del tutto casuali ch'io trovo incriminata con me una rivista comunista. Non ci troverei nulla da ridire se si trattasse d'altri argomenti. Ma essa non meritava l'onore d'essersi fatta bandiera di idee che non le si addicono come la libertà di coscienza e la non-violenza. Il fatto non giova alla chiarezza cioè all'educazione dei giovani che guardano a questo processo". È sempre nella veste di educatore che rivendica l'assoluzione da un'accusa che lo definisce un cattivo maestro. Parole come libertà di stampa, responsabilità, stato di diritto e obbedienza trovano nel suo vocabolario significati diversi: "Un sacerdote che ingiuria un carcerato ha sempre torto. Tanto più se ingiuria chi è in carcere per un ideale. Non avevo bisogno di far notare queste cose ai miei ragazzi. Le avevano già intuite. E avevano anche intuito che ero ormai impegnato a dar loro una lezione di vita. Dovevo ben insegnare come un cittadino reagisce all'ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c'è scritto grande: I CARE. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. ‘Me ne importa, mi sta a cuore’. È il contrario esatto del motto fascista ‘me ne frego ’ ". Il maestro deve anche sapere disobbedire e pagare di persona: "Non posso dire ai miei giovani, che l'unico modo d'amare la legge è d'obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate. Quando è l'ora non c'è scuola più grande che pagare di persona un'obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede. Chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più degli altri. Non capisco perché qualcuno possa confonderlo con l'anarchico. Preghiamo Dio che ci mandi molti giovani capaci di tanto (…) Questa tecnica di amore costruttivo per la legge l'ho imparata insieme ai ragazzi mentre leggevamo il Critone, l'Apologia di Socrate, la vita del Signore nei quattro Vangeli, l'autobiografia di Gandhi, le lettere del pilota di Hiroshima (…)". Parla dell'amore ed esalta il primato della coscienza: "(…) l'ho applicata, nel mio piccolo, anche a tutta la mia vita di cristiano nei confronti delle leggi e delle autorità della Chiesa. Severamente ortodosso e disciplinato e nello stesso tempo appassionatamente attento al presente e al futuro. Nessuno può accusarmi di eresia o di indisciplina. Nessuno d'aver fatto carriera. Ho 42 anni e sono parroco di 42 anime! Del resto ho già tirato su degli ammirevoli figlioli. Ottimi cittadini e ottimi cristiani. Nessuno di loro è venuto su anarchico. Nessuno è venuto su conformista. Informatevi su di loro. Essi testimoniano a mio favore". La critica non risparmia chi da sempre detiene il potere: "In Italia fino al 1880 aveva diritto di voto solo il 2% della popolazione. Fino al 1909 il 7%. Nel 1913 ebbe diritto di voto il 23%, ma solo la metà lo seppe e lo volle usare. Dal '22 al '45 il certificato elettorale non arrivò più a nessuno, ma arrivarono a tutti le cartoline di chiamata per tre guerre spaventose. Oggi il diritto al suffragio è universale, ma la Costituzione (articolo 3) ci avvertiva nel '47 con sconcertante sincerità che i lavoratori erano di fatto esclusi dalle leve del potere. Siccome non è stata chiesta la revisione di quell'articolo è lecito pensare (e io lo penso) che esso descriva una situazione non ancora superata. Allora è ufficialmente riconosciuto che i contadini e gli operai, cioè la gran massa del popolo italiano, non è mai stata al potere. Allora l'esercito ha marciato solo agli ordini di una classe ristretta ... l'esercito non ha mai o quasi mai rappresentato la Patria nella sua totalità. Ho a scuola, esclusivamente figlioli di contadini e di operai. La luce elettrica a Barbiana è stata portata quindici giorni fa, ma le cartoline di precetto hanno cominciato a portarle a domicilio fin dal 1861. Non posso non avvertire i miei ragazzi che i loro infelici babbi han sofferto e fatto soffrire in guerra per difendere gl'interessi di una classe ristretta (di cui non facevano nemmeno parte!), non gli interessi della Patria. Anche la Patria è una creatura cioè qualcosa di meno di Dio, cioè un idolo se la si adora. Io penso che non si può dar la vita per qualcosa di meno di Dio. Ma se anche si dovesse concedere che si può dar la vita per l'idolo buono (la Patria), certo non si potrà concedere che si possa dar la vita per l'idolo cattivo (le speculazioni degli industriali). Dar la vita per nulla è peggio ancora". Il desiderio di cambiare la figura dell'educatore è implicita nel raffronto che fa tra lui e i volgari mistificatori che insegnavano alla scuola fascista, ma anche quelli succubi delle ideologie perverse del ‘900: "Dopo essere stato così volgarmente mistificato dai miei maestri quando avevo 13 anni, ora che sono maestro io e ho davanti questi figlioli di 13 anni che amo, vorreste che non sentissi l'obbligo non solo morale (come dicevo nella prima parte di questa lettera), ma anche civico di demistificare tutto, compresa l'obbedienza militare come ce la insegnavano allora? Perseguite i maestri che dicono ancora le bugie di allora, quelli che da allora a oggi non hanno più studiato né pensato, non me". La demistificazione, investendo l'obbedienza, la sottopone al primato della coscienza facendo appello a una legge che tutti abbiamo scritto nel nostro cuore. Una legge che crede nel cambiamento e rende traballanti le istituzioni perché vede e agevola le dinamicità della storia. Dominata da Dio o dallo Spirito dei tempi. Avendo questo sguardo lungimirante, soffre per le miopie del suo vescovo: "Il nostro Arcivescovo card. Florit ha scritto che è praticamente impossibile all'individuo singolo valutare i molteplici aspetti relativi alla moralità degli ordini che riceve" (lettera al clero, 14-4-1965). Certo non voleva riferirsi all'ordine che hanno ricevuto le infermiere tedesche di uccidere i loro malati. E neppure a quello che ricevette Badoglio e trasmise ai suoi soldati di mirare anche agli ospedali (telegramma di Mussolini, 28-3-1936). E neppure all'uso dei gas. Quegli ufficiali e quei soldati obbedienti che buttavano barili d'iprite sono criminali di guerra e non sono stati ancora processati (...) A Norimberga e a Gerusalemme sono stati condannati uomini che avevano obbedito. L'umanità intera consente che essi non dovevano obbedire, perché c'è una legge che gli uomini non hanno forse ancora ben scritta nei loro codici, ma che è scritta nel loro cuore. Una gran parte dell'umanità la chiama legge di Dio, l'altra la chiama legge della Coscienza". Di conseguenza, la responsabilità è di tutti e l'obbedienza non è più una virtù, ma una tentazione: “Siamo giunti a quest'assurdo, che l'uomo delle caverne, se dava una randellata, sapeva di far male e si pentiva. L'aviere dell'era atomica riempie il serbatoio dell'apparecchio che poco dopo disintegrerà 200.000 giapponesi e non si pente. A dar retta ai teorici dell'obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell'assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore. C'è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è mai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano l'unico responsabile di tutto. A questo patto l'umanità potrà dire di aver avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionato al suo progresso tecnico".

    Il 14 dicembre si svolge la prima seduta del processo. L'avvocato Gatti chiede che sia allegata la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes, insieme ai disegni di legge sull'o.d.c.. Il 15 febbraio 1966 don Milani viene assolto dal tribunale di Roma perché “il fatto non costituisce reato”. Il 15 dicembre 1966 si apre il processo d'Appello. Il 5 ottobre 1967 la Corte d'Appello di Roma condanna Pavolini per apologia di reato e per don Milani dichiara il non luogo a procedere per la morte del reo. Il 15 gennaio 1969 la Corte di Cassazione concede l'amnistia a Luca Pavolini.