Metodi e tecniche-Scuola di Barbiana

Metodi e tecniche


PEDAGOGIA DELL'ADERENZA

E DEL RICONOSCIMENTO

Edoardo Martinelli

"ESSERE"

regista e portatore di strumenti
 

“Spesso gli amici mi chiedono come faccio a fare scuola e come faccio a averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che io precisi i programmi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter far scuola. Bisogna avere le idee chiare in fatto di problemi sociali e politici.

Non bisogna essere interclassisti, ma schierati. Bisogna ardere dell’ansia di elevare il povero a un livello superiore. Non dico a un livello pari a quello dell’attuale classe dirigente. Ma superiore più da uomo, più spirituale, più cristiano, più tutto …”

IL NON SAPERE

Il “non sapere” è lo stato di normalità dentro al quale vive ogni uomo, fosse anche il Maestro. Questo ci hanno lasciato in eredità Socrate e Lorenzo, dissimulando la propria ignoranza davanti a chi ha la pretesa di esser padrone della Conoscenza. Infatti, il loro dialogare pone l'interlocutore oltre che nel dubbio nell'obbligo di confutare. Controbattere le norme consegnate di generazione in generazione per consuetudine o tradizione, dimostrarle ancora valide, superate o erronee in quanto opinioni e non modelli da perseguire ad ogni costo, porta ad ammettere l'esistenza di più ipotesi. Senza il ragionamento probabile e l’analisi del contesto, l’arbitrio non ha logica e il maestro perde la sua essenza.

Il modo di essere di Lorenzo ci porta invece a individuare la verità dentro ogni aspetto della realtà, composta di eventi mutevoli, continui e reciproci, che imprimono nella nostra memoria il senso del progresso e della Storia.

DOMINIO DELLA LINGUA

“Chiamo uomo chi è padrone della sua lingua”, soleva dire il Priore , anche in tono arrabbiato verso l’allievo che farfugliava o teneva un atteggiamento privo di ideali e buoni propositi. Comportamento tipico di chi crede nella democrazia del benessere e consuma sottoposto alla pressione della pubblicità e dell’imitazione indotta dalla moda del momento. L’ideale sociale di Lorenzo poggiava invece sul dominio della lingua. Così che il contadino e l’operaio potessero avere in comune non solo competenze manuali, importantissime, o possedere anche loro le proprietà idolatrate, ma un vocabolario ricco, attivo e utile alla vita. Come quello del medico, dell’ingegnere e del farmacista quando parlano tra loro da pari a pari. E ciò era possibile, ci spiegava, andando all’origine della lingua e quindi di ogni evento: “Il dominio sul mezzo di espressione è un concetto che non riesco a disgiungere da quello della conoscenza delle origini della lingua. Finché ci sarà qualcuno che la possiede e altri che non la possiedono, questa parità base sarà sempre un’irrisione”. Convinto che il linguaggio si basasse su strutture universali e facoltà innate in ogni uomo, non prendeva in prevalente considerazione le nostre basi biologiche comuni, ma riteneva opportuno stimolare le facoltà cognitive attraverso una motivazione forte che si legava ai diritti e alle pari opportunità.

DIALOGO LEALE

Nell'elaborare la domanda, il nostro Maestro, stimolava la risposta dell'interlocutore. Infatti, solo attraverso il dialogo leale, il più possibile alla pari, si può dipanare dalle tante opinioni il nesso logico che ci fa intuire e progredire. È il rapporto dialettico e dialogico interessato, tra chi insegna e chi apprende, a rendere possibile l'arte del tirar fuori. Sono, infatti, la maieutica e l'ascolto reciproco a consentire all'allievo di esprimere la propria identità e cultura, invece di subire le influenze del momento. Lorenzo in pieno abbandono ed esodo dalle campagne riconobbe e condivise i valori della cultura del povero, ma non si abbrutì abbassandosi di livello, perché nel farlo innalzava l’altro al suo: “Voi mi siete tutti grati della scuola che v’ho fatto e avete ragione. Ma io ho avuto da voi esattamente tanta scuola quanto io ve ne ho fatta. Né un minuto di più né un minuto di meno. E se ne so più di voi, è solo perché io c’ero tutte le sere e voi invece qualche volta non c’eravate. E se molti altri preti son più bischeri e impreparati di me è solo perché non han saputo mettersi alla scuola dei loro operai e tendere l’orecchio al loro insegnamento”.

SCHIERATO

Questo modo di pensare necessitava di un educatore particolare, ossia “schierato”. Questa parola sembra entrare in conflitto con la buona pratica. Ma cosa intendeva esprimere Lorenzo con questa espressione? La comprendiamo solo se la mettiamo a confronto con altre citazioni, utilizzate spesso in aula: “aderenza tra la parola e il pensiero”, “coerenza tra il dire e il fare”. Che voleva poi anche dire: conformità tra le attività scolastiche ed il nostro trito quotidiano, a cui la scuola fungeva da supporto e da cassa di risonanza, in una continuità educativa certa e non inventata. Uomo non di parte, perché schierato con gli ultimi contadini rimasti a vivere la montagna, trovava in loro la motivazione al veroDando loro la parola, li spingeva a passare dalla subalternità all’autonomia. Li esortava così a riconoscersi nella propria cultura. Dentro la quale ci si muoveva usando, sì, la grammatica, ma il nostro vagare tra le parole non arricchiva solo il lessico, ma lo ricomponeva in frasi dove le combinazioni sintattiche avevano il presupposto di un vero e proprio progetto di vita. Se nella pedagogia di Lorenzo Milani individuiamo l’uomo come soggetto responsabile del proprio destino, dobbiamo combattere senza remore l’altro educatore, sempre più anonimo e omologato, proprio perché come recitiamo nella nostra lettera: “non schierato”. Quello che circuisce, magari in modo involontario, oppure con occulta persuasione dalla cattedra. Quello che trasmette solo sapere interclassista, quindi classista e vacuo.

GENTILE

Verso la fine dell'’800 le scuole tecniche furono sottratte al Ministero dell’agricoltura e dell'industria e assegnate all’Istruzione, come era giusto fare e dove era allora ministro Coppino. Ma il criterio vecchio fu subito ripristinato nel '23 proprio da Gentile, in conformità del suo esser stato sempre schierato con chi crede nelle discriminazioni di classe. Per poi finire, nel suo triste o pavido percorso di vita, in quelle razziali da lui sostenute ad alta voce e in pessimo italiano nel discorso del 19 marzo del ’44. Dopo aver aderito alla Repubblica di Salò infatti afferma: “La risurrezione di Mussolini era necessaria come ogni evento che rientri nella logica della storia. Logico l’intervento della Germania, che i traditori avevano disconosciuta, poiché quos deus perdere vult dementat, ma la sua fede e forza e audacia furono sempre riconosciute e tenute presenti dall’Italia di Mussolini. Così questa fu subito ritrovata attraverso Mussolini e aiutata a rialzarsi dal Condottiero della grande Germania che quest’Italia aspettava al suo fianco dove era il suo posto per il suo onore e per il suo destino, accomunata nella battaglia formidabile per la salvezza dell’Europa e della civiltà occidentale al suo popolo animoso, tenace, invincibile”.

Si può essere maestri nell’arte del fingere e del mentire o esserlo nell’errore e nella corruzione. Utilizzare, al limite, il proprio prestigio per esercitare un’influenza negativa. Mentre per Lorenzo: “Il commerciante è colui che cerca di contentare i gusti dei suoi clienti, il Maestro colui che cerca di contraddirli e mutarli”. E a chi ribadiva con parole arzigogolate, così rispondeva: “Discorsi teorici non mi interessano. Io ho delle persone davanti. Che cosa è il loro bene? Che cosa posso fare per loro? Il massimo di istruzione, il massimo di capacità umana di linguaggio, li faccio vibrare dalla mattina alla sera di questa passione”. Qui sta la differenza tra l’essere un buon o cattivo maestro. Per Lorenzo essere schierato non significava di parte o di partito, ma ben altro!

FILO DI RASOIO

Si usano a metafora tante frasi del nostro Priore, voglio oggi utilizzarle anch'io, ma senza perdere il nesso logico con il contesto di realtà, dentro il quale si sono maturate ed evolute le sue idee. Si parla dello spazio e tempo educativo: “La scuola è diversa dall'aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita. La scuola invece siede tra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. È l'arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare il loro senso della legalità, dall'altro la volontà di leggi migliori, cioè il senso politico”. Il maestro conduce l’allievo in una zona di confine, d’intersezione e laica, mai neutrale, tortuosa, affilata e a rischio quale il filo di rasoio. Dove, al posto delle false certezze, incontriamo il primato della coscienza e il libero esercizio della ragione critica. Dove i problemi concreti vengono risolti in un ritmo lento e comprensibile. Dove le singole materie non sono scandite dalla campanella in un passaggio dall’una all’altra, ma si contaminano. La continuità educativa è un processo che si lega all’ermeneutica e non a un ordine esecutivo. Senza l'interpretazione la stessa ragione diventa un susseguirsi di regole senza valore.

ESTERO

La sua regia si faceva sentire anche se eravamo lontano. L’attenzione che aveva verso di noi ci metteva in relazione con personalità significative, come lo fu per me la Clara Urquhart nel mio periodo londinese. La collaboratrice di Erich Fromm, il filosofo in quel momento voleva scrivere una biografia sul nostro Priore, fu subito utilizzata da Lorenzo per fini educativi. Lo si deduce da questa lettera: “Nel frattempo le sarei grato se lei andrà a cercare uno dei miei ragazzi (15 anni) che è a Londra. È lì per imparare l’inglese e conoscere persone e usanze. Ho piacere che conosca molta gente. Lo inviti per piacere a cena una sera. Lui potrà darle anche qualche informazione sulla nostra scuola. Si chiama Edoardo”. Il legame tra noi si rinforzava nella distanza e le sue lettere ci raggiungevano quasi ogni giorno: “Carissime le vostre fotografie, vorrei averne a chilometri e vorrei che parlassero; insomma vorrei avervi qui”. E di fatto eravamo lì, perché la fragile complicità nel gruppo ci portava a scoprire le nostre marachelle, piene comunque di buone intenzioni: “Ho saputo oggi da voi e da lui che Giancarlo vi ha mandato delle pagine della lettera. È scemo. Le ha levate dal cestino, erano superate. Mi secca molto che siano per il mondo. Fatele a pezzettini. Se riusciamo ad avere qui la Barbara le faremo battere una copia apposta per voi”.

RELAZIONE

E siccome mi ero lamentato dei ritardi nelle risposte, soprattutto in relazione agli impegni che mi erano stati dati, una ricerca che dovevo fare sulla dispersione in Inghilterra, la lettera in questione mi fu spedita addirittura per raccomandata: “La tua lettera mi ha tanto commosso che abbiamo lavorato tutto il giorno per mettere a punto una copia per te. Naturalmente è provvisoria e entro domani sarà già stata superata. Non ti venga perciò in mente di lasciarla alla Clara senza assicurarti che non la copia, non la pubblica, te la rende ecc. Fino a oggi ne tenevamo nove copie, una per me e otto per i ragazzi che lavorano al tavolo davanti a me. Da ora in poi si farà con una di meno. Naturalmente mi aspetto la tua collaborazione e quella di Mauro che ci ha già lavorato del resto. A questo scopo quasi ogni paragrafo ha un numero scritto in rosso. Dal disordine di quei numeri rossi puoi capire il rimescolio che ci sono stati nel costruirla. Ogni proposta di correzione che vuoi fare cita pagina e numero rosso. (…) Insomma, tutto quello che ti viene alla mente scrivicelo. (…) Ma non dire che ti ho tagliato fuori perché ti ho sempre scritto”. Era un accarezzarsi con le parole, come ricorda la nipote Valeria nel suo libro.

I NOSTRI GENITORI

Difficile non sentire la paternità di Lorenzo nei nostri confronti. Ma il suo forte coinvolgimento emotivo non competeva con i nostri genitori, anzi li rendeva compartecipi nella ricerca di un’identità comune: “Quando ne avrai troppi (di soldi) mandane un po’ alla tua mamma e al babbo. Un pensierino per far capire che sei un figliolo affezionato e in gamba. (…) per far loro vedere che gli sei grato di averti portato qui”. Non avendo avuto gli allievi e i genitori di oggi quel supporto comunitario, che per il Priore era un vero cardine della sua didattica, non riescono a vivere e sperimentare quei rapporti utili alle relazioni e alla complicità educativa. Lo comprendiamo bene in questa lettera a Elena Pirelli madre: “Fino a un mese fa ero convinto di essere un grande educatore di ragazzi difficili. O meglio pensavo che l’ambiente di Barbiana fosse di per sé stesso un grande educatore di ragazzi difficili. Quest’estate p. es. tre famiglie cittadine mi avevano appioppato ognuna un ragazzo difficile. Nel giro di un’ora a Barbiana son diventati tutti ragazzi facili e si son conservati così tutta l’estate quassù. Ogni giorno più cari, più sereni, più studiosi, più obbedienti, meno nervosi ecc. Appena tornati a casa nel giro di un’ora erano tornati gli stessi di prima”. Ciò che a Barbiana era implicito, la socialità e la cooperazione, la giustizia ed il rispetto, in questi tempi bui, così simili al mondo borghese di ieri, va insegnato ed appreso.

EROS

Eros, figlio di Pòros e Penìa, nasce da una strana unione. Il dio dell’abbondanza e della saggezza esce dal banchetto offuscato dall’ebbrezza e la dea della mancanza e povertà lo accoglie mendicando. Dal padre eredita l’insidia e la conoscenza, mentre della madre conserva la natura. È amante anche quando non è amato. Non è né bello né brutto, né cattivo né buono, ma del bello e del buono conserva il desiderio che matura solo nel sentire la mancanza. Ma quando questo impulso viene dall’anima, più prezioso degli stimoli del corpo, concepisce un’insaziabile passione. Per questo motivo la parola codificata, essendo assoluta nella sua “perfezione”, non lascia posto ad alcuna mancanza o desiderio. Impedisce ogni qual forma di Amore, perché giudica, ma non è capace di vivere, far vivere e raccontare ciò che abbiamo vissuto. Amore è come il fuoco: arde e consuma. Se alimentato dal timore, dal pudore, dal dubbio, dal sospetto, dal presentimento, dal rimorso, da tutti quei valori intermedi e secondari che lo qualificano nella sua totalità, in poche parole se non è assoluto, diventa capace di generare il vero Sentimento.

IL SAGGIO E LO STOLTO

Il Sapere del saggio è ricerca appassionata, curiosità per ciò che è sconosciuto, desiderio dell'altro per colmare ciò che manca. Invece quello dello stolto è semplice possesso. Questo è il motivo per cui tende a contrapporsi per avere il dominio sull'altro. Il primo unisce, crea e trasforma, mentre il secondo conserva o distrugge. Infatti chi non trova sé stesso trova sempre e ovunque un nemico.

VITA COMUNITARIA

La vera biografia di Lorenzo sono le sue lettere. Seminate copiose in qua e in là, se rimesse insieme diventano gli spartiti di una versione ridotta di tante piccole esperienze significative. Finestre che si aprono al ricordo per ascoltarne la musica. Identità fragili che diventano sempre più forti man mano che la vita comunitaria si rafforza. Frammenti di una piccola comunità evaporata in poco tempo, ma che ha lasciato segni profondi nella memoria collettiva. Un diario di bordo che rincorre gli aspetti più nascosti di strategie sottili che ci accompagnavano durante la crescita: “Non si capisce che lavoro fai, non ci hai detto del primo incontro col manager, non dici se intendi o ti fai intendere, se mangi o patisci, quanto guadagni e quanto spendi, che pericoli hai incontrato, se t’annoi o ti diverti, se impari, se ci stai volentieri o vuoi tornare, se ti stanchi troppo, se hai una camera a conto tuo, non hai descritto la casa, né il luogo di lavoro, non dici nulla della City e dei suoi sotterranei, non dici che la mia scuola è buona, che ogni due minuti si avvera qualcosa a cui io ti avevo preparato e che ti fa sentire superiore e non inferiore …”.

Una vera e propria verifica dei livelli di autonomia raggiunti.

EQUO GIUDIZIO E SELEZIONE

Senza un forte coinvolgimento, necessario a far emergere i giochi proiettivi di chi apprende, ed
un’adeguata elasticità mentale da parte di chi lo prende in cura è impossibile un equo giudizio.

Quando Lorenzo osservava il suo gruppo classe di certo notava le diversità, ma non le giudicava. Il suo scopo era quello di raccordarle in un intento comune. Come avviene nell’equipe della vita, dove tutti troviamo il nostro ruolo in base all’indole, agli interessi e ai crediti formativi reali e non formali. Solo dopo la scuola di base, quella che ci rende uomini e cittadini, ha senso la selezione e quindi anche il bocciare, anzi è indispensabile alla sopravvivenza della comunità che necessita di essere curata negli ospedali e di viaggiare sicura su ponti che non cadono.

MOTIVAZIONE

Era su presupposti reali e non su semplici enunciati che il Priore di Barbiana trascinava le nostre idee sulla linea del tempo. Anzi, era proprio questo suo agire in piena aderenza al contesto di realtà, vissuto da noi e dalle nostre famiglie, che faceva individuare la motivazione. Arricchite dalla riflessione, erano le idee stesse a modulare la tematica scelta per produrre i testi o gli argomenti da studiare. La centralità data al ragazzo ci portava ad avere il coraggio di pescare in profondità, andando anche dietro a ciò che la nostra distrazione nascondeva o rendeva impensabile.

ATTESO IMPREVISTO

Questo atteso imprevisto era individuabile nelle ragioni che di volta in volta destavano in noi maggiore interesse. Sarebbe stato impossibile individuarlo considerando solo le informazioni di superficie programmate a monte ed imposte dal Sistema Educativo. Ossia quei saperi che escono dai templi della cultura di certa chiesa e di certa aristocrazia, anche laica e conservatrice, come fotocopia di una realtà inventata e astratta.

AUTODIFESA

Lo vediamo da come un semplice comunicato dei cappellani militari del 28 febbraio del ‘65, dieci righe, diventa ricerca storica e strumento d’uso per la prima grande scrittura collettiva. Una tecnica umile capace di introdurre il punto di vista del perdente, prima ancora che diventare un’autodifesa in tribunale.

PROGRAMMAZIONE

Non si programmava a priori mai alla Scuola di Barbiana. Le materie si dipanavano partendo da quei pretesti che, per quanto non sempre visibili e spesso mascherati dietro alle nostre difese, catapultavano la realtà casualmente e tutti i giorni sulla nostra tavola. Ed in itinere il Maestro li coglieva al volo e su quella base apparentemente instabile progettava e organizzava le lezioni per condurci verso gli obiettivi curricolari. Non apparecchiava mai la tavola e non riempiva la nostra testa di nozioni pescate lontano. Dove spesso la didattica si impantana in isole scollegate tra loro: “Quella professoressa si era fermata alla Prima guerra mondiale. Esattamente al punto dove la scuola poteva riallacciarsi con la vita. E in tutto l’anno non aveva mai letto un giornale. Dovevano esserle rimasti negli occhi i cartelli fascisti: “Qui non si parla di politica”. Mai ha detto: “Oggi vi faccio questo o quello”. I contenuti essenziali e significativi li faceva rivivere cercandoli insieme a noi dentro una narrazione che comprendeva uno schema dell'intera esistenza umana. Nel suo vivere i periodi, nella loro scansione, nelle fratture e ricongiunzioni tra epoche.

SPIRITO DEL TEMPO

La curiosità reciproca non ha mai trasformato il nostro dialogo in un interrogatorio. Le risposte avevano regole che facevano trascendere il Sapere in sé, perché dovevano contaminare le nostre conoscenze e liberarle dall'abitudinario. Solo fuori dal conformismo diventavano utili alla crescita della nostra personalità che si arricchiva di volta in volta attingendo al mondo del maestro e a quello dell'allievo. Una strana ignoranza quella espressa da Socrate e da Lorenzo, eppure la Pizia nella antichità e lo Spirito del Tempo di oggi li hanno sentenziati per essere i più sapienti.

LA GRAMMATICA COME BUSSOLA

A proposito della formazione dei seminaristi questi sono i consigli dati al vescovo: “Da quello che ho visto io quello che occorre è solo la lingua. Bisogna fargliela amare come il dono più alto che abbiamo. Tutto quello che riguarda la parola è lo studio adatto per noi: filologia, grammatica, sintassi, etimologia, lingue antiche, lingue moderne. Bisogna fargliene tanta e tanto viva che finiscano per averne grande gioia. E devono amarla con cuore sempre proteso verso gli infelici, di cui un giorno saranno pastori e che proprio della lingua avranno bisogno. Bisogna che i seminaristi abbiano ben presente che il muro contro cui cozzeranno è questo vuoto immenso di lingua che hanno i poveri e che passino quei loro tredici anni di martirio a prepararsi con fede e speranza amando il Greco, più della Gazzetta.” Quando ci faceva navigare dentro al discorso per costruirlo o ristrutturarlo, imparavamo ad usare la grammatica come bussola. Impadronirsi di semplici regole o rigide ideologie per lui significava saper blaterare. Con lui avevamo una guida che ci insegnava a studiare le forme, le classificazioni e le appartenenze di ogni fonema e grafema. Imparavamo a comporre e scomporre per trovare nuove logiche e funzioni sintattiche. La lingua non serviva solo per comunicare, ma anche per difenderci e ragionare: “Non faccio più che lingua e lingue. Mi richiamo dieci venti volte per sera alle etimologie. Mi fermo sulle parole, gliele seziono, gliele faccio vivere come persone che hanno una nascita, uno sviluppo, un trasformarsi, un deformarsi”.

PAROLA COME ATTO

“Alopex, pix, pox, pux, fux, fox” era uno scioglilingua, appreso dal bisnonno, che il Priore ripeteva a noi per farci capire il legame, la trasversalità e l’evolversi di una parola dal greco antico al tedesco e inglese moderno. La parola viva, in un susseguirsi di combinazioni, nel suo essere nominata e interpretata, dà forma a qualsiasi materia. Dà vita a ciò che non esiste e rende possibile l’impossibile. Ma per pensare e costruire logiche di senso, diventa anche riflessiva: parla di sé e a sé stessa. Nel senso che rincorrere la sua etimologia la rende oggetto del pensare. Solo le parole, riflettute e meditate, inducono a compiere un’azione. Nella radice ebraica, “parola” significa agire. La sua evocazione non è quindi una astrazione, ma un atto. Il dire è il fare, che abbiamo di certo già pensato “prima” di pronunciare. La parola in tutte le sue rappresentazioni, non solo in quanto segno, crea infinite combinazioni e di conseguenza azioni. La parola per essere creativa deve avere un coinvolgimento affettivo e relazionale con tutte le persone che insieme costruiscono il testo. Contenendo loro si accoglie ogni sentimento e stato d’animo.

ARTE DEL PARLARE

L’ambiguità e l’ambivalenza di un vocabolo non erano considerate negative, ma utili. Lorenzo ci faceva scoprire attraverso il ragionamento che esistevano più usi della parola e che su di essa potevano convergere in un'unica tematica tutti gli approcci disciplinari. “La lingua è formata dai vocaboli di ogni materia. Per cui bisogna sfiorare tutte le materie un po’ alla meglio per arricchirsi la parola. Essere dilettanti in tutto e specialisti soltanto nell’arte del parlare”. A fine settimana si faceva portare in anteprima il filmato che sarebbe stato proiettato il mercoledì successivo al Cineforum di Borgo San Lorenzo, La Ginestra. Ci preparava rivedendolo più volte e alla moviola. La sera della proiezione, alla presenza di un pubblico qualificato e numeroso, preparatissimi andavamo al dibattito e con queste parole ci salutava: “E ora andate e mangiatevi quegli intellettuali!”

CONSAPEVOLEZZA

Con questa consapevolezza, dentro la quale il Maestro ci conduceva, scoprivamo i limiti, i moventi e le differenze comportamentali, nostre e degli altri. Liberando le nostre potenzialità innate e ben nascoste dietro a tante difese operava per farci superare ogni timidezza: “Io sono sicuro che la differenza tra il mio figliolo e il vostro non è nella quantità né nella qualità del tesoro chiuso dentro la mente e il cuore, ma in qualcosa che è sulla soglia fra il dentro e il fuori, anzi è la soglia stessa: la parola”.

PAROLE IN SOSPENSIONE

Solo quando le parole vengono liberate completamente dal giudizio, e quindi poste in sospensione, diventiamo spettatori lucidi e capaci di autentica riflessione. Senza quell’attimo di silenzio, senza l’interruzione di un’azione in corso, diventa impossibile raccogliere e coordinare le idee. Senza la sospensione del giudizio e l’attivazione del dubbio non esiste l’elaborazione del pensiero e di conseguenza la libera espressione.

LIBERAZIONE

In campagna, e di quei tempi, spesso il linguaggio acquisito era solo interiorizzato. Nel silenzio del povero il Priore vedeva la vera Sapienza, ma anche l’impotenza umana. Non bastano le inclinazioni o le attitudini a liberarci dalla timidezza, dalla retorica o dalla persuasione. È necessario possedere la parola e restituirla attiva e non solo codificata. In questo caso ci parlava di liberazione del soggetto: “La parola è la chiave fatata che apre ogni porta”. Nel senso che il mondo intero era spalancato! Capivamo, superate le tante titubanze, che la liberazione dell'oppresso non si esercita attraverso la presa del potere, vedi l'ex Unione Sovietica, la Cina o i modesti tentativi di creare uno stato sociale di Obama, ricondotti da Trump in corsa agli armamenti e competitività.

VOCAZIONE TOTALITARIA

La vocazione totalitaria degli uomini della società della tecnica, che ancora si presenta con la faccia neoliberista, non sarà minimamente scalfita da un passaggio di potere. Senza un ritorno ai valori alti di cultura e alle nostre radici è impossibile vivere una vita serena, gioiosa e individuare gli ideali che orientano le nostre scelte. Infatti, quando le vecchie verità incontrano le nuove, si fondono insieme. Ma quello che fuoriesce è un pensiero trasformato. Però non è ancora certo se tale processo è di tipo involutivo o evolutivo. Rivoluzionario o conservatore. Se immerse in un crogiuolo collettivo, alternativo alla predica in aula e al messaggio unidirezionale in casa, abbiamo, se non altro, una verifica più seria ed immediata di ciò che sta succedendo. Perché solo riconducendo le tante opinioni alla ricerca di quella più valida si rinforzano in noi i legami e le convinzioni.

MALE ASSOLUTO

Anche se è vero che per cultura, quella dei poveri e contadini di montagna, mai ci si sarebbe fatti circoscrivere dentro i limiti dell’Io o delle mura di casa. Ma questa cultura non esiste più. Si è persa dentro l’avvento del consumismo sfrenato, che per il nostro Priore rappresentava un male assoluto. E per Pasolini se ne è andata con le lucciole.

NON NOI

Strutture psichiche e reali, l’Io e la famiglia, sono spesso, i maggiori responsabili di quel “non Noi” costruito altrove nelle stanze del potere. Un potere che ha trasformato le socialità sull’aia, dove si svolgevano le attività insieme, in un circolo chiuso, anticipatore del loop del cellulare.

Dentro il quale non ci si interroga ed è ovvio pensare che niente abbia un senso.

VERITÀ

Del resto, solo creando relazione tra l'oggetto da scoprire e chi cerca o impara si democratizza l'atto della conoscenza, in quanto capacità di analisi e confronto sui fondamenti che lo reggono. Queste erano le facoltà indispensabili, intuibili e non imposte dalla cattedra come obblighi morali, che ci portavano, nel nostro stare insieme, a raggiungere la verità così come essa è, senza alcuna posizione di comodo, libera da pregiudizi ed impalcature. “Perché, ci diceva il Maestro, la verità è storica e cambia nel tempo”.

PADRE UNIVERSALE?

Il suo vivere in coerenza, e per molto tempo in solitudine, non ha generato mai, in Lorenzo prete, conflitto tra fede e ragione. Barbiana, per quanto sia possibile annoverarla tra le punizioni, rappresenta in realtà una scelta fatta a priori! Era il luogoer predisporsi ad un amore totale invece che universale. Una cesura consapevole col passato borghese e materialista della gioventù. In una lettera scritta a Luciano Ichino, dell’undici maggio del ‘59, per smascherare l’ipocrisia di un amore per tutti mette tra parentesi: “Un seminarista intero con cuore universale non si potrebbe far circolare per le strade senza pericolo per l’incolumità pubblica”. Premesso che subito spiega con il suo solito tono ironico che per intero intende non evirato e quindi con tutti gli attributi utili a tentare ed essere tentato. Per meglio chiarire il concetto di singolare e universale così prosegue: “Il sacerdote è padre universale? Se così fosse mi spreterei subito. E se avessi scritto un libro con cuore di padre universale non v’avrei commossi. V’ho commosso e convinto solo perché vi siete accorti che amavo alcune centinaia di creature. Ma che le amavo con cuore singolare e non universale”.

VOCAZIONE

Che la sua fosse una scelta vocazionale e non di comodo lo dimostra la lettera a Pipetta, il giovane comunista di paese. Questo scritto, mai spedito e conservato tutta la vita, riassume in una pagina il suo stato d’animo e quel clima di contrapposizioni forti che caratterizzava la politica di fine anni ‘40: Lorenzo, dopo un solo anno passato nella pieve di San Donato, si era già staccato dal mondo dei suoi poveri, ormai spostato verso un ideale mondano.

Pensiamo solo agli stili di vita, determinati dalla logica del mercato e che si fondavano sulle famose tre M: moglie, macchina e mestiere.

REGISTA

L'“educatore deve essere regista e portatore di strumenti”, recitiamo sempre nella lettera a una professoressa, per dire che è inutile la regalia del pesce, dobbiamo imparare a pescare! Erano i saperi in sé a trascendere la nostra scuola. La conoscenza avrebbe abbattuto qualsiasi muro, solo se avesse avuto un approccio di tipo diverso. Ossia quello di essere un'adeguata cassetta piena di attrezzi utili a comprendere ed affrontare la vita e non trasformarsi, come in un triste passato, in cassa di risonanza del potere.

Infatti, i concetti si formano grazie alla curiosità che si alimenta con la ricerca e con le altre predisposizioni psichiche umane. E che necessitano per esprimersi di questo tempo particolare.

SCHOLE'

Ci ricorderebbe Platone che Aion è il tempo dell’Essere, non frazionabile nella sua durata perché, appunto, racchiude passato, presente e futuro. Chronos è invece il tempo del divenire che si può misurare. Infine, Scholè, da cui deriva la parola scuola, è il tempo che trascorre senza assillo, non soggetto alle angosce della Necessità, portando con sé l’idea dell’indugio, dell’ozio e della lentezza. Infatti, i concetti si formano grazie alla curiosità che si alimenta con la ricerca e con le tante e altre predisposizioni psichiche umane le quali necessitano per esprimersi di questo tempo particolare.

PEDAGOGO

Il termine pedagogo significa colui che conduce l’allievo nel luogo dell’apprendimento. Ieri il maestro conduceva in posti che erano dei veri e propri banchetti, sui campi di battaglia, nelle aule di tribunale. Oggi tale luogo è compreso dentro trenta o quaranta metri quadri, dove convivono l’insegnante e trenta ragazzi per diverse ore al giorno. Dove si gioca e si lavora. In questo habitat innaturale tessiamo i nostri primi rapporti e iniziamo il cammino di costruzione della nostra identità. Immersi in tale contesto non più geografico, psicosociale e culturale diventa difficile per chi insegna cercare di formare una generazione più dinamica e creativa. Senza via di scampo la scuola diventa un luogo di contenimento e di parcheggio. I rapporti sono vissuti solo per semplice vicinanza corporale senza interscambio. In questo strano modo, già da bambini, i nostri allievi sperimentano un’assurda idea di spazio.

NELLA VITA

Se il ragazzo perde la propria dignità noi perdiamo con lui il nuovo futuro che egli rappresenta. invece di sostenerlo, senza reprimere il suo movimento interiore, confondiamo i suoi bisogni con i nostri desideri. Solo interpretando e reagendo agli stimoli che giungono dall'esterno e dall'interno, le nuove conoscenze svilupperanno una struttura mentale che diventerà sempre più complessa e articolata nel crescere dell’età. Non solo nell'adolescenza, ma anche in età adulta. Non solo nello scolastico, ma anche, se abbiamo il coraggio, quando li conduciamo sulla strada e nella vita di ogni giorno.

TESTAMENTO

Dobbiamo liberarci dal pensiero che produce solo pensiero e guardare in faccia la realtà. Fatta di eventi, sensazioni, sentimenti, smanie di ogni tipo e volontà che sempre si rigenerano nel tempo. Occorre interpretare il metodo di Barbiana alla luce del mondo d’oggi, seguendo quanto ci ha lasciato Don Milani come estremo testamento pedagogico: Si doveva invece restare fedeli alla sua scuola: “La quale non vi ha dato un’idea unica e un’unica tessera, ma vi ha abituato a pensare le cose prima di farle e a non farle mai se non coerenti a quel che avete pensato”. Parole che svincolavano da qualsiasi presupposto comune e che rimanevano impresse nella nostra anima e non solo nella mente.

Un vero e proprio insight!